Si parla impropriamente del Codice dello Spettacolo, in realtà, si tratta del tanto atteso decreto legislativo di riordino delle leggi in materia di spettacolo dal vivo e degli strumenti di sostegno in favore dei lavoratori del settore, nonché per il riconoscimento di nuove tutele in materia di contratti di lavoro e di equo compenso.
Si fa riferimento allo spettacolo[1] dal vivo (musica, danza[2], teatro[3], spettacoli circensi[4], rappresentazioni viaggianti e itineranti, etc.), visto che quello registrato (cinema e audiovisivo) ha una propria legge organica, la n. 220/2016[5].
Il Governo[6], allora, nella cornice di principi e criteri delineati dalla legge delega n. 106/2022[7] dovrà esercitare la delega[8] entro il 18.08.2024. Più precisamente, entro 20 giorni dallo scadere del termine previsto, dovrà inviare il testo al Presidente della Repubblica per l’emanazione del decreto, a pena di decadenza.
Il precedente tentativo di riordino, con la legge delega n. 175/2017 è fallito, per la mancata approvazione appunto dei decreti delegati nel termine di un anno dalla pubblicazione della legge delega.
Nel corso dell’anno 2023/2024 il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha rivolto alle organizzazioni più rappresentative di tutti gli operatori del mondo dello spettacolo, l’invito a manifestare le proprie esigenze, così che il Governo possa adottare soluzioni quanto più vicine ai loro desiderata.
Da martedì 19 marzo 2024 e per i quattro giorni successivi, si è tenuta presso la Sala Spadolini del MiC, in Roma al Via del Collegio Romano 27, un’iniziativa dal titolo “Verso il primo codice dello spettacolo”, coordinata dal Sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi[9], in cui, divisi per settori, i rappresentanti di categoria hanno potuto confrontarsi.
Tra le molteplici richieste pervenute, si menzionano le più significative:
– rimodulazione delle risorse tra i vari settori dello spettacolo;
- riconoscimento del ruolo degli autori anche attraverso l’introduzione di un registro ad hoc;
- riduzione dell’IVA sui biglietti;
- ripristino del biglietto d’oro;
– introduzione di un protocollo antimolestie;
– garanzia della parità di genere;
– riduzione dei giorni lavorati per usufruire all’indennità di discontinuità;
– CCNL per gli sceneggiatori italiani;
– un compenso minimo garantito per gli autori.
Tratto, comune a tutti, è stata la richiesta di maggiori risorse pubbliche, attraverso una nuova redistribuzione.
Allo stato, è indubbio che il cinema riceva finanziamenti a pioggia, mentre il teatro è sottofinanziato – basti pensare che, al primo, sono destinati 750 milioni di euro l’anno – intesi sia come finanziamenti diretti che tax credit – 200 milioni di euro sono per l’opera lirica e 300 milioni di euro divisi tra gli altri settori.
Questo negli anni ha portato a una superproduzione cinematografica spesso qualitativamente deludente o comunque non proporzionata all’impegno economico di cui il settore aveva beneficiato. Tanto più che poi quelle opere cinematografiche sono state fruite da un numero esiguo di spettatori. Si è parlato dell’ordine di 29 e 125 a fronte di 3 milioni e mezzo di euro finanziati!
Gli incontri di marzo 2024 sono stati preceduti da alcune dichiarazioni del Ministro Sangiuliano[10], che hanno fatto molto discutere.
Se prima questi sosteneva: “Il cinema, come ho detto, sta molto a cuore sia al governo, sia a me”; subito dopo, aggiungeva: “Se ti accorgi che ci sono sprechi, anzi che si è generato un vero e proprio mostro lievitato in pochi anni da 400 a 800 milioni[11], chiedi di spostare le risorse altrove”.
Inoltre, sempre secondo il Ministro, “il meccanismo di detrazione fiscale così com’é, disincentiva la creatività e alimenta la mediocrità. Ora la svolta”.[12]
Egli ha parlato di “un cinema troppo e male assistito dallo Stato, che ha determinato un sistema affetto da una pluralità di patologie, in primis una sovrapproduzione di titoli che scompaiono nelle nebbie, ovvero nel vuoto cosmico: delle “459 opere cinematografiche sostenute attraverso il tax credit automatico tra il 2022 e il 2023, oltre 345 non sono mai uscite in sala”.
Ciò basti, a dimostrare che il “Re è nudo”.
Di qui l’esigenza di ricorrere a criteri di qualità per la distribuzione dei finanziamenti.[13]
Ma le componenti qualitative delle attività artistiche – si osserva – non si prestano a essere sottoposte a criteri di misurazione e valutazione oggettivi, atteso che il settore dello spettacolo e le relative modalità di svolgimento intersecano valori e principi costituzionali che non richiedono un controllo pubblico.
Dagli anni Novanta, si è assistito a una continua decurtazione del FUS[14] e quindi dell’entità dei contributi per una politica di contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro[15] ha messo sotto i riflettori i risultati non proprio brillanti di alcuni titoli usciti nelle sale cinematografiche tra il 2019 e il 2022.
Come l’opera prima di Massimo Cappelli, “Prima di andare via”, che nonostante abbia avuto solo 29 spettatori, ha potuto usufruire di ben 700 mila euro di fondi pubblici.
Mentre ammonterebbero a venti i film con un incasso medio leggermente superiore ai 2.000 euro per un contributo complessivo di ben 11,5 milioni di euro.
Il Ministro ha poi puntato il dito sui compensi milionari di alcuni registi di serie televisive[16]:
- per la seconda stagione di “A casa tutti bene”, Gabriele Muccino ha incassato ben 2,2 milioni di euro, di fronte a un investimento dello Stato di 2,1 milioni di euro, sostanzialmente il finanziamento è servito a pagare il suo compenso;
- Paolo Genovese 1,4 milioni di euro per “I Leoni di Sicilia”, con 8,7 milioni euro dal fondo,
- Luca Guadagnino ed Edoardo Gabbriellini per “We are who we are” ben 2,4 milioni di euro, con 13,2 milioni di euro,
- il regista inglese Joe Wright per “M – Il figlio del secolo” 1,7 milioni di compenso da 14,9 milioni di euro.
Non si sono fatte attendere le reazioni, come quella del regista Paolo Sorrentino[17]: “Il ministro Sangiuliano faccia marcia indietro. Il cinema è una delle industrie più floride del Paese, sottrarre risorse metterebbe in crisi molte imprese del settore, farebbe scappare gli investitori stranieri, produrrebbe un danno incalcolabile alla nostra economia, non solo alla cultura”.
Dopo Sorrentino, è intervenuto anche Pierfrancesco Favino[18]: “Bisogna stare attenti ad associare il valore commerciale immediato con il valore artistico di un film.
Nessuno che fa cinema ha la bacchetta magica per dire questo funzionerà.
Io e i miei colleghi siamo assolutamente disponibili, lo abbiamo fatto e lo continueremo a fare. La cosa non elegantissima è stato fare nomi di alcune persone. Tre di quei nomi sono film che non sono ancora usciti”.
Infine ha concluso: “Non sapevo che il problema della sanità dipendesse dalla nostra categoria. Dubito che sia così”.
A questi sono seguiti i commenti degli autori italiani, dei 100autori, dell’Anac e Writers Guild Italia, che hanno manifestato la propria preoccupazione alla notizia di eventuali tagli al cinema e all’audiovisivo italiani, che dopo anni di crisi stavano finalmente trovando grande vitalità.
E come, in tutti i paesi avanzati (compresi gli USA), cinema e audiovisivo ricevano forti aiuti pubblici non solo per il loro evidente valore culturale e identitario, ma anche per il ruolo strategico che svolgono nel proiettare l’immagine del paese a livello internazionale.
Il problema – non certo di poco conto – alla base dei finanziamenti diretti e indiretti allo spettacolo e soprattutto dei criteri in base ai quali assegnarli, è quello di decidere se ammettere o meno l’intervento dello Stato in un settore economico, strategico quale quello culturale[19], in cui lo spettacolo è inserito.
L’ingerenza dello Stato in un ambito così peculiare, significa garantire un equilibrio non semplice tra due opposte esigenze: da una parte, il forte condizionamento alla libertà delle manifestazioni artistiche, e, dall’altra, assicurare proprio quella libertà che, diversamente, se i finanziamenti non ci fossero, non potrebbe esplicarsi.
Questo perché il settore dello spettacolo dal vivo è caratterizzato dalla cosiddetta “tecnologia stagnante”, in quanto accrescere la produzione vuol dire incrementare, in misura direttamente proporzionale, i fattori produttivi utilizzati.
Semplificando: per i teatri, non sempre l’aumento della quantità prodotta si traduce in una riduzione dei costi fissi, in quanto, ad esempio, per realizzare un concerto con un quartetto d’archi, serviranno sempre quattro musicisti, non è pensabile sostituirne uno con una registrazione.
E con la sola vendita dei biglietti non si potrebbe fare fronte ai costi della produzione, se lo si facesse, si snaturerebbe completamente il prodotto artistico[20].
Mentre i settori tradizionali possono avvantaggiarsi dello sviluppo tecnologico per ridurre i costi del fattore di produzione lavoro, quello delle performing arts, non può in alcun modo ridurre il numero di addetti impiegati, le cui retribuzioni devono essere adeguate al costo della vita.
La lirica è un esempio lampante della “sindrome di Baumol”[21], poiché gli incrementi di produttività sono praticamente impossibili e l’attività si compone quasi esclusivamente di lavoro.
Per renderci conto dell’aumento dei costi di produzione, si recupera l’esempio di Brosio e Santagata[22]:
al Teatro Regio di Torino, una serata d’opera nel 1865-66 costava poco meno di 22 milioni di lire.
Nel 1985, la stessa serata veniva a costare circa 260 milioni, sempre considerando che la qualità dello spettacolo fosse rimasta, all’incirca, identica.
A teatro pieno, un biglietto medio sarebbe costato, nel 1865, 12.000 lire, nel 1985 la cifra sarebbe salita a 155.000 lire, con simili prezzi la domanda sarebbe sicuramente crollata e di conseguenza gli incassi.
Un finanziamento pubblico sempre crescente ha permesso al Teatro Regio di mantenere in vita la sua attività. Nel 1865, lo Stato copriva il 40 per cento dei costi; nel 1985, arrivava all’85 per cento di un costo unitario che, nel frattempo, si era moltiplicato per dodici.
Pertanto, con la sola vendita di biglietti non si sarebbe potuto e non si potrebbero sostenere i costi di produzione.
Né tanto meno si potrebbe eliminare l’opera lirica dal paniere delle offerte degli spettacoli dal vivo, perché essa è espressione eccellente della cultura e tradizione italiana.
Con un articolo comparso il 24 febbraio 2009, sul quotidiano La Repubblica, Alessandro Baricco evidenziò come, pur restando validi gli obiettivi legati al finanziamento pubblico della cultura, essi andavano riallocati alla scuola di ogni ordine e grado e alla televisione[23].
Questi gli obiettivi indicati dal noto scrittore torinese:
I. rendere accessibili i luoghi e i riti della cultura alla maggior parte della comunità[24];
II. difendere gesti e repertori irrinunciabili per tramandare la civiltà, che non sarebbero sopravvissuti alla logica del profitto[25];
III. motivare i cittadini ad assumersi la responsabilità della democrazia, cioè il bisogno di avere cittadini informati, minimamente colti, dotati di principi morali saldi e di riferimenti culturali forti.
La funzione pedagogica dell’arte e perciò dello spettacolo, deriva dalla sua forza persuasiva.
Il timore è la degenerazione o meglio la sua strumentalizzazione, cosa avvenuta negli anni Vento del 1900, in cui la funzione educativo-pedagogica della cultura era accompagnata a quella di manipolazione delle coscienze e del consenso, attraverso il controllo sociale.
Nel periodo fascista, Mussolini comprese il ruolo cruciale dello spettacolo e del cinema, in particolare, attraverso il processo di manipolazione delle coscienze[26].
Lo sviluppo della cinematografa e il valore alla stessa attribuitole determinò la perdita di attrattiva da parte del teatro[27] e quindi dei finanziamenti ad esso destinati.
Il Fascismo però lasciava margini di libertà ai registi, perché dovevano realizzare opere di evasione per il popolo[28], quasi a distrarli dalla situazione reale[29].
Tutto ciò, salvo poi disporre, dal 1926, prima di ogni spettacolo, la proiezione dei cinegiornali[30].
Il regime fascista comprese anche “l’importanza (o la pericolosità) del palcoscenico”.[31]
Tant’é che le misure finanziarie del 1938[32] in favore del teatro prevedevano l’attribuzione al Miniculpop[33] della facoltà di richiedere tutte le modifiche, dei programmi artistici, ritenute necessarie per perseguire le finalità di uso ideologico e politico del Ministero[34].
La legge n. 175/2017 ha sottolineato invece la funzione solidaristica dello spettacolo, attraverso un’attività di promozione dell’integrazione e dell’inclusione sociale, realizzata mediante attività formative destinate alle fasce più deboli e disagiate della popolazione.
Numerosi sono gli esempi:, si pensi ai seguenti casi.
L’Orchestra Sinfonica dei Quartieri Spagnoli di Napoli, su progetto ispirato al musicista venezuelano Josè Antonio Abreu, raccoglie i ragazzi dei quartieri spagnoli dagli 8 ai 15 anni e è istituita con lo scopo di eliminare il degrado sociale, la dispersione scolastica e promuovere l’educazione e il lavoro di giovani provenienti da uno dei contesti più difficili della città.
L’Orchestra Sanitansamble, attiva dal 2008, raccoglie i ragazzi della Sanità, altro quartiere difficile di Napoli. Ha partecipato al film Nostalgia (2022) di Mario Martone.
Ancora, si pensi alla Nuova Orchestra Scarlatti Junior, divenuta tristemente nota, perché un suo promettente musicista, GiovanBattista Cutolo, detto Giò-Giò, è stato vittima innocente di omicidio da parte di un diciassettenne[35].
La funzione solidaristica dell’intervento statale sottende l’idea che la cultura rientri tra i merit good [36], ovvero tra quei beni che soddisfano bisogni collettivi così meritevoli e degni di attenzione, che appare giustificato il loro parziale o totale finanziamento.
Sono così definiti quei beni o servizi cui la collettività attribuisce un particolare valore, perché funzionali allo sviluppo morale e sociale della collettività stessa, quali l’istruzione, le cure sanitarie, l’informazione, la cultura.
Spesso lo Stato soddisfa siffatti bisogni, a prescindere da una richiesta espressa del cittadino, perché, da un lato, ne considera semplicemente i benefici per l’intera collettività, e, dall’altra, è consapevole dell’asimmetria informativa[37] da parte degli individui, cioè del fatto che gli stessi non dispongono di informazioni sufficienti a prendere le decisioni per loro più vantaggiose.
Eliminare l’intervento dello Stato nella cultura significherebbe violare gli articoli 9[38] e 33[39] della Costituzione, quest’ultimo prodromico poi all’articolo 21[40] sulla libertà di manifestazione del pensiero e altresì violare alcune Direttive UE, come la Direttiva Servizi media, audiovisivi 2010/13 UE, a difesa e promozione della diversità culturale. A tacere della inosservanza di Trattati Internazionali, come la Convenzione sulla tutela e la promozione delle diversità delle espressioni culturali (articolo 1 della Dichiarazione universale dell’Unesco, ratificata in Italia con legge n. 19/2007), e la Convenzione di Parigi del 2005.
Probabilmente, il vero problema non è l’an ma il quantum e il quomodo dell’intervento.
Si ricordi che lo Stato oggi interviene nel mondo del cinema e dell’audiovisivo attraverso finanziamenti diretti e indiretti, si fa riferimento nel primo caso all’erogazione dei contributi e nel secondo caso al tax credit e tax shelter.
A decorrere dal 2017, è stato istituito nello stato di previsione del Mibact, il Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e l’audiovisivo (FUS), alimentato, a regime, con gli introiti erariali derivanti dalle attività del settore e il finanziamento non poteva essere inferiore a 400 milioni di euro annui, così distinti come segue.
Contributi automatici (art. 5), subordinati al:
- possesso della nazionalità italiana (art. 14);
- alla non appartenenza a una delle categorie espressamente escluse (opere a carattere pornografico, o che incitano alla violenza o all’odio razziale, opere a carattere pubblicitario, opere con fini commerciali, programmi di informazione, giochi, varietà, programmi televisivi);
- possesso di alcuni indefiniti argomenti di carattere culturale (il d.m. 15 marzo 2018 indica argomenti di carattere mitologico, leggendario, religioso, sociale, fantastico, artistico o culturale).
Contributi selettivi (art. 26)[41]: sono destinati alle opere prime e seconde, alle opere realizzate da giovani autori, alle opere di particolare qualità artistica, alle imprese di nuova costituzione e alle microimprese; dette opere sono selezionate da una Commissione di esperti costituita da personalità di chiara fama.
Terza categoria di contributi (art. 27): sono destinati a iniziative e manifestazioni per favorire lo sviluppo della cultura cinematografica (festival, rassegne, premi, conservazione e restauro, cineteche, programmazione di film dell’essai, et similia), sono indicati espressamente l’Istituto Luce-Cinecittà s.r.l.; la Fondazione la Biennale di Venezia, la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e la Cineteca Nazionale.
L’attuazione dello sviluppo e della crescita dello spettacolo è quindi possibile non solo mediante il meccanismo del sostegno pubblico diretto, ma anche attraverso un sistema indiretto inquadrabile nelle agevolazioni fiscali.
Ed è questo lo scopo che si prefiggeva il pacchetto fiscale introdotto nel 2009 e prorogato fino al 2013, finalizzato all’incremento e la qualificazione delle risorse finanziarie sia per le imprese del settore, che per i soggetti diversi dai produttori cinematografici (tax credit e tax shelter, cioé il credito d’imposta e la detassazione degli utili[42]).
Nello specifico, il tax credit è un credito d’imposta pensato per sostenere le imprese nella produzione di film e serie tv.
Ad oggi, ai produttori spetterebbe un credito pari al 40 per cento del costo eleggibile di produzione (per quelli non indipendenti è pari al 25 per cento).
Tax shelter invece è una misura voluta dalla deputata FI Gabriella Carlucci e dal senatore della maggioranza Willer Bordon.
Essa permette la detassazione degli utili di impresa con la possibilità di beneficiare di uno scudo fiscale, per la parte di utili investiti nella produzione e nella distribuzione cinematografica.
Tax credit e tax shelter non sono cumulabili in riferimento alla medesima opera filmica.
Attualmente possono beneficiare della detassazione le imprese di produzione cinematografica[43].
Il beneficio è richiesto nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio cui afferiscono gli utili accantonati, e spetta a condizione che il nulla osta di proiezione in pubblico[44] del film, oggetto dell’istanza di tax shelter, sia richiesto entro 18 mesi dalla data di approvazione del bilancio cui si riferiscono gli utili investiti.
Altra forma di sostegno indiretto è rappresentato dall’obbligo, per le emittenti televisive, di produzione e trasmissione di una quota percentuale di film italiani ed europei nei loro palinsesti, pena la comminatoria di sanzioni dall’Autorità Garante nelle comunicazioni.
Frequente è il tentativo di elusione trasmettendo le opere meno appetibili negli orari notturni.
La legge ha riconosciuto il valore culturale del cinema e della produzione audiovisiva come espressione della cultura e dell’identità nazionale ed europea, adottando misure protezionistiche che ricordano quelle del ventennio fascista, ma ispirate da una filosofia diversa.
La legge ha voluto anche sostenere il cinema come industria e quindi quale proficuo volano della crescita economica.
La predeterminazione di criteri di erogazione di contributi automatici e neutrali sottrae l’opera da giudizi qualitativi che sono soggettivi, opinabili e quindi discutibili perché legati alla cultura e sensibilità di chi esprime il giudizio.
Non vi è un filtro però sul valore culturale dell’opera, con il conseguente abbassamento del livello medio della produzione cinematografica.
In questo modo, è finanziata la quasi totalità della produzione cinematografica, prescindendo da qualunque valutazione di ordine culturale e questo è incompatibile col principio giuridico di matrice UE dell’eccezione culturale[45], secondo il quale, il sistema dei finanziamenti pubblici allo spettacolo in Italia deve rispettare l’ordinamento dell’UE e in particolare l’art. 107 TFUE che vieta gli aiuti di Stato, tranne che “gli aiuti siano destinati alla promozione della cultura e alla conservazione del patrimonio culturale quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Unione in misura contraria all’interesse comune”.
Il criterio di erogazione di contributi automatici segue logiche esclusivamente commerciali e di appiattimento sul gusto della maggioranza[46].
Subordinare tuttavia i contributi a valutazioni di discrezionalità tecnica può determinare che i giudizi siano influenzati dagli orientamenti politici vicini alle maggioranze di governo, con lesione sulla libertà dell’arte.
[1] Manca una nozione unitaria di spettacolo, il Titolo V della Costituzione distingue tra beni culturali e attività culturali, ma non parla di spettacolo, nel senso di attività che si svolge come rappresentazione artistica in presenza e a beneficio di un pubblico di spettatori. La bipartizione tra spettacolo registrato e quello dal vivo è stata positivizzata nel 1959, con l’introduzione del Ministero del turismo e dello spettacolo, quando il settore ha iniziato ad avere un suo proprio apparato amministrativo, ed in seguito con la creazione delle Direzioni Generali per il cinema e lo spettacolo dal vivo presso il Ministero per i beni e le attività culturali. Bipartizione poi ripresa con l’istituzione del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo). La disciplina giuridica dello spettacolo di M. Immordino e A. Contieri, Ed. Giappichelli, Torino, 2023.
[2] La legge che regolamenta la danza è n. 800 del 1967: “Nuovo ordinamento degli enti lirici e delle attività musicali.”
[3] Le attività teatrali, ai fini del finanziamento, fino al 1999,sono state regolate da circolari ministeriali, in seguito dal d.m. n. 470/1999, attuativo del d.lgs. n. 492/1998.
[4] La legge fondamentale sul circo e lo spettacolo viaggiante è la n. 337 del 1968: “Disposizioni in materia di circhi equestri e spettacolo viaggiante.”
[5] Con la relativa normativa di attuazione: tre decreti legislativi del 07 dicembre 2017; diciotto decreti attuativi emanati tra la fine di dicembre 2017 e metà gennaio 2018. Il d.lgs. n. 28 del 2004 aveva disciplinato i profili essenzialmente procedurali dell’intervento pubblico nel settore.
[6] Generalmente si fa ricorso allo strumento del decreto legislativo per introdurre norme in settori dall’elevato contenuto tecnico, nell’attività di delegificazione o per introdurre riforme particolarmente vaste. Per permettere al Governo di adottare i decreti legislativi, ex art. 76 Cost., le Camere attribuiscono all’Esecutivo il potere di legiferare, attraverso la legge delega (cornice di principi e criteri ai quali l’Esecutivo deve attenersi). Prevede un limite di tempo per l’esercizio di questo potere (in genere un anno e nei casi più complessi un lasso temporale maggiore). Successivamente l’Esecutivo esercita la delega tramite l’approvazione dei decreti legislativi che devono essere trasmessi al Presidente della Repubblica, per l’emanazione, almeno 20 giorni prima della scadenza del termine. L’Esecutivo non può discostarsi dai criteri e dalle scadenze imposte dal Parlamento con la delega.
[7] L’art. 2 della legge delega indica le materie oggetto di legislazione delegata: organizzazione e gestione delle fondazioni lirico-sinfoniche e degli enti che operano nel settore musicale; riforma, revisione e riassetto del teatro, musica, danza e spettacoli di varia natura.
[8] Il termine per l’esercizio della delega, con l’art. 1, comma 6 della legge di conversione n. 14 del 2023 del decreto legge 198/2022, è stato prorogato da 9 a 24 mesi dall’entrata in vigore (ossia dal 18 agosto 2022 al 18 maggio 2023 e poi dal 18 maggio 2023 al 18 agosto 2024).
[9] cfr. sul sito del MIC l’articolo “Mic, da martedì 19 marzo quattro incontri “Verso il primo codice dello spettacolo” pubblicato il 15 marzo 2024.
[10] cfr. L’intervista su Il Sole24ore Cultura del 21 ottobre 2023 di Andrea Biondi: “Cinema, il ministro Sangiuliano: Basta soldi a film fantasma senza spettatori.”
[11] Sono i dati della crescita del Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo i cui crediti d’imposta pesavano per il 72% del totale nel 2023.
[12] cfr. articolo su Il Foglio del 9 aprile 2024 di Gennaro Sangiuliano: “Sangiuliano ci spiega perché rivoluzionerà il tax credit nel cinema”, “…Il pieno riconoscimento del valore culturale ed economico del cinema non può esimerci dal denunciare, con forza, le storture e i veri e propri abusi che si sono generati in questi ultimi anni nell’ambito degli aiuti che lo Stato riconosce al cinema che, ricordiamolo sempre, sono soldi dei cittadini italiani. Nel 2016 le risorse disponibili, sotto forma di contribuzione diretta e di tax credit, furono pari a poco di più 250 milioni di euro. Nel 2017, primo anno della nuova legge per il settore cinema, il fondo era di 400 milioni. Nel 2021, lo stanziamento in legge di Bilancio è stato di 636 milioni poi aumentato, per gli anni 2022 e 2023, a 746 milioni. Al momento le risorse sono invariate, fatta eccezione per un lieve taglio che vale per tutti gli ambiti del Ministero per esigenze di finanza pubblica. A questo fiume di denaro pubblico non sempre ha corrisposto la qualità: mi ha fatto piacere leggere, a riguardo, una opportuna dichiarazione di Marco Bellocchio secondo cui molti suoi colleghi farebbero bene a cambiare mestiere. Inoltre si sono generati incontrovertibili abusi: film prodotti e finanziati, misteriosamente non ancora usciti; tantissimi film che hanno fatto segnare poche decine di spettatori in sala e mai trasmessi su piattaforme o in tv; film che, per aggirare gli obblighi di programmazione, sono passati in sala alle 8 del mattino. Per inciso, vorrei tanto conoscere lo spettatore che va al cinema a quest’ora…“
[13] cfr. articolo su Il Foglio del 9 aprile 2024 di Gennaro Sangiuliano: Si tratta di un vero e proprio “fiume di danaro”: “a questo fiume di denaro pubblico non sempre ha corrisposto la qualità: mi ha fatto piacere leggere, a riguardo, una opportuna dichiarazione di Marco Bellocchio secondo cui molti suoi colleghi farebbero bene a cambiare mestiere. Inoltre si sono generati incontrovertibili abusi: film prodotti e finanziati, misteriosamente non ancora usciti; tantissimi film che hanno fatto segnare poche decine di spettatori in sala e mai trasmessi su piattaforme o in tv; film che, per aggirare gli obblighi di programmazione, sono passati in sala alle 8 del mattino. Per inciso, vorrei tanto conoscere lo spettatore che va al cinema a quest’ora”.
[14] Fondo Unico dello Spettacolo. Istituito con legge n. 163/1985, la prima che si occupa dello spettacolo nella sua globalità. Il Fondo unico per lo spettacolo (FUS) è il meccanismo utilizzato dal governo italiano per regolare l’intervento pubblico nei settori del mondo dello spettacolo (cinema, teatro, musica, etc). Doveva soddisfare due esigenze: 1. assetto coordinato e unitario di tutte le iniziative ministeriali frammentate di incentivazione finanziaria in favore del cinema e dei singoli settori dello spettacolo dal vivo; 2. assicurare sostegno finanziario stabile a un settore sempre in crisi per la scarsità delle risorse e la gestione non trasparente, efficace ed economica. Così da consentire agli operatori di programma l’attività e allo Stato di controllare l’utilizzo di risorse pubbliche.
[15] in occasione dell’evento “L’Italia vincente – Un anno di risultati”, per celebrare un anno di governo, le dichiarazioni sono state riprese tra gli altri dal quotidiano La Stampa del 23 ottore 2023 nell’articolo di Giovanni Berruti: “Tax credit per film e serie tv, che cos’é e perché fa litigare il ministro Sangiuliano e il mondo del cinema.”
[16] Secondo alcuni documenti sensibili riportati dall’Adnkronos, agenzia di stampa italiana, con sede a Roma, nata nel 1963, facente parte del gruppo editoriale “Giuseppe Marra Communications” (GMC).
[17] cfr. il quotidiano La Repubblica del 20 ottobre 2023, articolo di Giovanna Vitale: “Paolo Sorrentino: Tagli al cinema? Una visione miope e illogica. Così si crea disoccupazione.”
[18] ospite di In altre parole, programma in onda su La7, del 23 ottobrev2023.
[19] Basti pensare al peso che ha nella determinazione del PIL nazionale.
[20] P. Dubini, Economia delle aziende culturali, Etas, Milano, 1999.
[21] W.J. Baumol, H. Bowen, Performings Arts: the Economic Dilemma, MIT Press, New York, MIT Press, 1996.
[22] G. Brosio e W. Santagata, Rapporto sull’economia delle arti e dello spettacolo, Fondazione Agnelli, Torino, 1992.
[23] “Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi.”
[24] “La cassaforte dei privilegi culturali è stata scassinata da una serie di cause incrociate”: Internet, globalizzazione, nuove tecnologie, maggiore ricchezza collettiva, aumento del tempo libero, aggressività delle imprese private in cerca di un’espansione dei mercati. Tutte cose accadute nel campo aperto del mercato, senza alcuna protezione specifica di carattere pubblico. Se andiamo a vedere i settori in cui lo spalancamento è stato più clamoroso, vengono in mente i libri, la musica leggera, la produzione audiovisiva: sono ambiti in cui il denaro pubblico è quasi assente. Al contrario, dove l’intervento pubblico è massiccio, l’esplosione appare molto più contratta, lenta, se non assente: pensate all’opera lirica, alla musica classica, al teatro: se non sono stagnanti, poco ci manca”.
[25] Questo è il caso dell’opera lirica.
[26] Mussolini definì il cinema: “l’arma più forte dello Stato” e nel discorso del 1928, di inaugurazione dell’Istituto Internazionale del cinema educatore, disse: “La cinematografia… presenta questo grande vantaggio sul giornale e sul libro: parla agli occhi, parla dunque un linguaggio comprensibile a tutti gli uomini della terra; da qui anche il suo carattere d’universalità e le innumerevoli possibilità che offre per una collaborazione educativa d’ordine internazionale.”
[27] N. Bobbio, La cultura e il fascismo, in AA.VV., Fascismo e società italiana, Einaudi, Torino, 1973.
[28] A. Crespi, Storia d’Italia in 15 film, Laterza, Roma-Bari, 2016.
[29] I documentari, quelli sì, avevano funzione didattica, tra i titoli più significativi: Mussolinia, Nell’agro pontino redento, Nella luce di Roma.
[30] Per la loro produzione era stato istituito nel 1924 l’Istituto Luce (Unione Cinematografica Educativa) che, nel 1925, divenne un ente pubblico, per “la diffusione attraverso il cinema delle cultura popolare e della istruzione generale per mezzo delle visioni cinematografiche messe in commercio alle minime condizioni di vendita possibile o distribuite a scopo di beneficienza e propaganda nazionale e patriottica.” Cfr. P.V. Cannizzaro, Il cinema sotto il fascismo, in Storia contemporanea, Marsilio, Venezia, 1972; M. Argentieri, L’occhio del regime. Informazione e propaganda nel cinema del fascismo, Vallecchi, Firenze, 1979.
[31]P. Girolami, Il carro di Tespi: teatro e fascismo, in M. Biondi A. Borsotti (a cura di), Cultura e fascismo. Letteratura arti e spettacolo di un ventennio, Ponte delle Grazie, Firenze, 1996.
[32] D.L. n. 1150 e 1547 del 1938.
[33] Minculpop è la denominazione abbreviata di Ministero per la Cultura Popolare. Fu istituito nel 1937, quando il ministero della Stampa e della propaganda cambiò denominazione per assumere appunto quella di Minculpop, più adeguata alle ambizioni totalitarie del fascismo nella seconda metà degli anni Trenta. cfr. il quotidiano La Repubblica, dell’11 febbraio 2023.
[34] M. Ainis, M. Fiorillo, L’ordinamento della cultura, Giuffrè, Milano, 2003.
[35] Fu ucciso, da un minorenne, senza motivo, con un colpo di pistola il 31 agosto 2023, in Piazza Municipio, a Napoli, all’uscita di un locale.
[36] R.A. Musgrave, The Theory of Public Finance, A Study in Public Economy, McGrawHill, New York, 1959.
[37] Il concetto viene usato e studiato in Economia e, in particolare, Economia dell’Informazione, dove si suppone la presenza di asimmetrie informative per spiegare i differenti comportamenti dei soggetti economici. v. Gregory Mankiw e Mark P. Taylor, Principi di Microeconomia, a cura di Marco Merelli, 7ª ed., Zanichelli, Bologna, 2018.
[38] Art. 9 Cost: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.”
[39] Art. 33, comma 1, Cost.: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.”
[40] Art. 21, comma 1, Cost.: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”
[41] Con i contributi selettivi la legge ha riconosciuto all’opera cinematografica lo spessore artistico di merit good.
[42] Riconoscimento requisiti per i produttori. Per accedere alle agevolazioni fiscali, le imprese di produzione devono chiedere alla direzione generale per il Cinema il riconoscimento dell’eleggibilità culturale dei film prodotti. I film in oggetto sono sottoposti a un test di eleggibilità che ne assicura la matrice culturale italiana o europea (tabella A del decreto 7 maggio 2009). Viene effettuata una specifica istruttoria tecnica, ricorrendo se necessario al parere della Commissione per la cinematografia. Per accedere alle agevolazioni fiscali i soggetti interessati devono inviare o consegnare la richiesta alla direzione generale per il Cinema, compilando l’apposita modulistica.
[43] Decreto 7 maggio 2009 “tax shelter produttori”.
[44] Cosiddetto “visto censura”.
[45] Questa deroga al divieto è definita “eccezione culturale“, il cui fondamento è nella tutela delle diversità culturali degli Stati membri.
[46] Il mercato è aperto e gli aiuti di Stato sono legittimi solo nella misura in cui “non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità in misura contraria all’interesse comune” (art. 87, par. 3, lett. d, del Trattato di Maastricht).
Avv. Paola Calvano