La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 19350 del 15.07.2024 ha rigettato il ricorso promosso dall’Antico Caffè Greco1 S.r.l., finalizzato alla riforma della sentenza della Corte di Appello di Roma, contro l’Ospedale Israelitico, proprietario dell’immobile.
Ha sancito, in particolare, il seguente principio di diritto: “Qualora un bene immobile, per il quale sia stato stipulato un contratto di locazione a uso commerciale, risulti classificato in base a un provvedimento amministrativo, emesso ai sensi degli artt. 12 e 23 Legge, 01.06.1939, n. 10894, quale bene di interesse particolarmente importante5, determinandosi in tal modo un vincolo artistico e culturale6 non soltanto sull’immobile, ma anche sugli arredi, le decorazioni, i cimeli storici e la relativa licenza di esercizio, la sussistenza di tale vincolo non si traduce, per il proprietario, nel divieto di intimare al conduttore la licenza per finita locazione ma soltanto nell’obbligo di garantire la continuità della destinazione del bene nei termini indicati dal provvedimento istitutivo di quel vincolo”.
Questi i fatti di causa.
Nel 2017, l’Ospedale Israelitico ebbe a citare, dinanzi al Tribunale di Roma, la Società Antico Caffè Greco S.r.l., per chiedere e ottenere lo sfratto per finita locazione e contestualmente la convalida7, avente per oggetto l’immobile condotto in locazione a uso commerciale, contraddistinto dalla celebre insegna “Antico Caffè Greco”.
Costituitasi in giudizio, la società resistente eccepì l’esistenza di un vincolo di natura amministrativa e la necessità di tutelare l’Antico Caffè Greco, perché bene di interesse storico. Si tratta dei vincoli precedentemente affermati dal TAR Lazio, nella sentenza n. 1164 del 2011.
Il Tribunale di Roma emise l’ordinanza provvisoria di rilascio ai sensi dell’art. 665 c.p.c. e, vista l’opposizione, dispose il mutamento del rito.
La societa resistente propose domanda riconvenzionale con la quale chiese che fosse pronunciata in suo favore una sentenza costitutiva, di prosecuzione del contratto di locazione, ai sensi dell’art. 2932 c.c..
Con sentenza definitiva, il Tribunale di Roma8 accolse la domanda dell’Ospedale Israelitico, dichiarando cessato il contratto, per finita locazione, alla data del 30 settembre 2017, così confermando l’ordinanza provvisoria di rilascio, rigettò la domanda riconvenzionale e condannò la società convenuta al pagamento delle spese di lite.
L’Antico Caffè Greco S.r.l. ricorse in Appello9, dove ottenne la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado10 e poi il rigetto del gravame11.
Inoltre, a seguito del ricorso in opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c. (con istanza di sospensione dell’esecuzione ex art. 624, comma 1, c.p.c), avanzato dalla stessa società, il 18 ottobre 2019, il Giudice, differì l’esecuzione, fissando alla data dell’8 gennaio 202012 la comparizione delle parti, in ragione del fatto che, al mancato versamento dell’indennità di perdita dell’avviamento commerciale, da parte del locatore, conseguiva, da una parte, che “la ritenzione dell’immobile da parte del conduttore avveniva de iure’ e rappresentava la causa di giustificazione impeditiva della scadenza dell’obbligo di riconsegna” (Cass. n. 19634/2016) e, per altro verso, che “è necessaria attenta delibazione, audiatur et altera pars, in ordine alla concessione della tutela disposta ai sensi e per gli effetti degli artt. 1 e 2 Legge n. 1089/1939 […] e ai suoi riflessi in sede esecutiva”.
La Corte di Appello di Roma condivise, sostanzialmente, la posizione del Tribunale di Roma “là dove esso aveva affermato che l’esistenza del vincolo sul bene immobile, da ritenersi esteso anche all’attività esercitata, operava sulla destinazione d’uso del bene medesimo, ma, non escludeva l’interesse ad agire, in capo al proprietario, per ottenere il rilascio alla data di scadenza della locazione. Il vincolo, infatti, non toccava l’efficacia della disdetta e si esauriva in limitazioni alla facoltà di utilizzazione del proprietario, senza interferenza sul rapporto privatistico di locazione.
Non sussisteva, pertanto, il preteso diritto di proprietà della società conduttrice quanto piuttosto il vincolo relativo anche alla licenza di esercizio, tale da rendere immodificabile la destinazione commerciale, con conseguente sacrificio del proprietario. Diversamente argomentando, del resto, si sarebbe determinata una proroga, con effetti permanenti, del rapporto di locazione”.
Nè, d’altro canto, secondo la Corte di Appello, sarebbe stata ravvisabile una violazione degli artt. 2013 e 2114 del D.Lgs., 22.01.2004, n. 42, atteso che il proprietario non avrebbe dovuto preventivamente denunziare all’Autorità amministrativa la sua intenzione di intimare la disdetta del contratto.
L’Antico Caffè Greco ricorreva in Cassazione, sulla base di diversi motivi.
In primis, denunciava la violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., del giudicato esterno formatosi, tra le stesse parti, relativo al contenuto del vincolo, stabilito dal TAR Lazio, con sentenza n. 1164/1115.
Ancora, eccepiva la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362, comma e1 e 2, 1366 e 1367 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale aveva interpretato il contenuto del decreto del Ministro della pubblica istruzione del 27 luglio 1953.
Con il secondo motivo, la ricorrente sosteneva che la sentenza impugnata avrebbe “consentito a una delle parti del vincolo (il proprietario delle mura), di intimare lo sfratto per finita locazione all’altra parte del vincolo, cioè al titolare del complesso aziendale, (colui senza il quale non può esistere alcun Caffè Greco, perché proprietario del marchio e dell’azienda che opera sotto quel marchio)”.
Un ipotetico nuovo conduttore, pertanto, “per continuare l’attività aziendale tutelata a marchio Caffè Greco (l’unica specifica attività che sia possibile svolgere in quell’immobile come prescritto dal vincolo di tutela), dovrebbe acquistare dalla Società Antico Caffè Greco, l’azienda, e subentrare così in tutti i contratti a essa inerenti (art. 2558 c.c.), ivi compresi i contratti di lavoro con i circa 40 dipendenti (ex art. 2112 c.c.), i contratti con i fornitori e anche il contratto di locazione dell’immobile che deve ospitare quell’attività aziendale (che non è che uno dei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda)”.
Si ricorda che, per proteggere il locale dalla speculazione, nel 1953 il Ministro Antonio Segni emanò un Decreto Ministeriale di vincolo16 che dichiarò questo sito “di interesse particolarmente importante” e “…di proprietà, per la parte dell’immobile, dell’Opera Pia Ospedale Israelitico… e, per la parte dei mobili e della licenza d’esercizio, del Sig. Gubinelli Federico fu Giovanni…”17.
Il decreto di vincolo, con decreto del Ministro del 6 febbraio del 1954, si estese al cortile coperto, al salone e al laboratorio dell’Antico Caffè Greco.
A seguito della trascrizione dei citati provvedimenti di tutela presso la Conservatoria dei registri immobiliari – avvenuta il 20 ottobre 1953 (n. d’ordine 43459) per il primo dei due decreti sopra menzionati e il 24 agosto 1954 (n. d’ordine 37112) per il secondo – gli stessi hanno acquisito efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore e detentore a qualsiasi titolo dei beni in essi individuati.
L’articolo 128, comma 2, del D. Lgs. n. 42/2004 ha stabilito la perdurante efficacia delle notifiche effettuate ai sensi della Legge n. 1089/1939.
Il TAR del Lazio, con la sentenza del 201118, passata in giudicato, chiariva definitivamente la natura del vincolo di tutela: apposto non solo sui locali (immobile) e sugli arredi, cimeli, decorazioni (mobili), ma anche sulla “licenza di esercizio”.
“Il Caffè Greco – secondo il TAR Lazio – costituiva un pregevole esempio di ‘pubblico ritrovo’, consolidatosi nel tempo in virtù della consuetudine di una certa tipologia di avventori di frequentarlo e renderlo centro di incontri culturali“.
E, secondo i giudici amministrativi, non era conforme alla ratio del vincolo ministeriale, “restringere la tutela all’immobile e ai beni mobili, essendo chiara la volontà dell’Amministrazione di ricondurre il vincolo al particolare valore commerciale assunto nel tempo dalla destinazione del locale, dall’essere detto locale un ritrovo di artisti, anche stranieri, quindi un luogo noto in Italia e all’estero come centro di vita artistica”.
Quello posto sull’Antico Caffè Greco, sui suoi arredi, opere e quant’altro ivi contenuto, non è un limite espropriativo ma conformativo19, in quanto non comporta la perdita definitiva della proprietà privata, ma impone limitazioni e condizioni restrittive agli interventi edilizi in funzione degli obbiettivi di tutela dell’interesse pubblico.
Non prevede indennizzi di sorta per le limitazioni previsti dallo strumento urbanistico e non ha scadenza temporale.
La stessa Corte di Cassazione nella sentenza in commento, ha ricordato le ragioni del ricorso al TAR Lazio da parte dell’Ospedale Israelitico: l’impugnazione della determinazione dirigenziale n. 787 del 23 luglio 2003 del Comune di Roma, con la quale quest’ultimo aveva attribuito all’esercizio commerciale denominato Antico Caffè Greco l’attestato di negozio storico20 (da cui derivano una serie di agevolazioni, soprattutto di natura fiscale).
Il ricorrente lamentava che da quel decreto fossero derivati, a carico del proprietario, vincoli ulteriori rispetto a quelli contenuti nel D.M. 23 luglio 1953.
Il TAR, dopo aver ricordato che quest’ultimo decreto non era stato a suo tempo impugnato e non poteva dunque essere rimesso in discussione (da qui, l’inammissibilità del ricorso) osservava che, i vincoli derivanti dalla successiva determinazione dirigenziale del 2003 – contestati dall’Ospedale ricorrente – erano già contenuti tutti nel precedente decreto del 1953, rispetto al quale quello impugnato non aveva aggiunto sostanziali novità.
Nel pervenire a tale conclusione, il TAR Lazio aggiungeva, tra l’altro: che il d.m. del 1953 aveva apposto il vincolo non solo sui locali e gli arredi, ma anche sulla licenza di esercizio; che quel vincolo comportava certamente un sacrificio del diritto dominicale, ma che si trattava di un sacrificio legittimo, in ragione del potere confermativo della P.A.21
Il TAR Lazio si era limitato a escludere l’esistenza dell’interesse a ricorrere contro l’atto impugnato per la ragione che esso era inidoneo a spiegare effetti lesivi sulla posizione dell’allora ricorrente, in quanto detti effetti non erano a esso ricollegabili, ma lo erano al decreto del 1953.
Il giudicato in rito si era formato soltanto sulla rilevata carenza di interesse e non sulla situazione giuridica fatta valere con il ricorso.
Il problema che emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione del 2024 è stabilire quale sia il limite entro il quale sia possibile applicare vincoli culturali di destinazione d’uso, o meglio, se sia possibile prevedere vincoli di destinazione d’uso ulteriori rispetto a quelli canonici precisi dalla legge.
In primo luogo bisogna chiarire la distinzione tra “vincolo di destinazione” e “vincolo di destinazione d’uso”.
Orbene, il primo si prefigge di salvaguardare il valore storico e di civiltà di un bene culturale, configurando, pertanto, un divieto di mutamento della destinazione che impedisca le “innovazioni incompatibili con il valore culturale” . Il vincolo di destinazione d’uso garantisce, invece, la continuazione di una specifica attività, è allora, inammissibile perché se disattende la previsione costituzionale che impone la libertà dell’iniziativa economica privata.
Sono tre gli orientamenti giurisprudenziali sul vincolo culturale di destinazione d’uso.
Il più estremo ritiene che non possa trovare applicazione un vincolo culturale di destinazione d’uso perché incompatibile con il diritto positivo, il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa economica, costituzionalmente tutelata.
Esso si fonda sulla distinzione tra vincolo strutturale e vincolo di destinazione d’uso, escludendo l’ammissibilità di vincoli culturali di mera destinazione specie per attività commerciali o imprenditoriali anche se attinenti a valori storici e culturali presi in considerazione dalla legge di riferimento.
Sarebbe uno strumento di tutela non previsto dalla legge e, comunque, eccessivamente limitativo dei diritti di proprietà e della libertà di iniziativa economica che non ammettono, in quanto liberi, limitazioni di questo tipo.
Il secondo orientamento, intermedio, pur condividendo il tendenziale divieto di vincoli culturali di destinazione d’uso, ritiene però ammissibile, una deroga a tale regola generale, quando sussistano determinate condizioni ossia, qualora il bene abbia subito una trasformazione legata proprio a una destinazione precisa, e si abbia instaurato uno stretto legame con un’iniziativa storico-culturale di rilevante importanza.
L’ultimo orientamento, invece, considera la legittimità o meno del vincolo di destinazione d’uso, non in rapporto a una particolare trasformazione della res e al suo stretto collegamento per un’iniziativa storico-culturale di rilevante importanza, ma, in rapporto all’adeguatezza della motivazione, alla base della decisione amministrativa assunta in concreto22.
È da menzionare la decisione del Consiglio di Stato, Sezione VI, del 28 giugno 2022, che, con ordinanza n. 5357, assunse la decisione in merito a un’altra attività storia romana, il ristorante “Il Vero Alfredo”.
Con detta pronuncia, il Supremo Consesso di giustizia amministrativa ha inteso aderire al terzo degli orientamenti, ritenendo che, il potere di prescrivere limiti all’uso del bene culturale possa derivare dalla lettura in combinato disposto degli articoli 18 comma 123, 20 comma 124 e 21 comma 425 del D. Lgs. n. 42 del 2004.
La disciplina valorizza quindi l’importanza dell’uso del bene culturale, la cui modifica deve essere attentamente vagliata dall’Amministrazione statale la quale potrebbe anche vietare usi incompatibili con le caratteristiche o la conservazione della res.
Posizione assolutamente condivisibile, se affiancata da idonea motivazione, in grado di dimostrare che un uso diverso della res rispetto all’attuale, possa comprometterne l’integrità materiale e le sue caratteristiche storico, artistiche e culturali.
Come detto, i vincoli culturali non hanno valenza espropriativa ma conformativa e l’interesse culturale, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, prevale su qualsiasi altro interesse nelle valutazioni concernenti i reciproci rapporti.
In proposito, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 118 del 1990, nel trattare i beni culturali “per riferimento” – oggi previsti dall’art. 10 comma 3 lettera d)26 del D. Lgs n. 42/2004, sembra avere ammesso la legittimità dei vincoli di destinazione d’uso.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, non si è pronunciato però definitivamente sui ricorsi in appello – incidentale e principale – ma ne ha disposto il deferimento, per la risoluzione, all’Adunanza Plenaria.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato non ha risolto in maniera univoca la questione di diritto relativa all’ammissibilità di un “vincolo culturale di destinazione d’uso”: vi sono state pronunce contrarie e altre favorevoli, e queste ultime hanno individuato presupposti differenti in base ai quali l’Amministrazione statale potrebbe emanare il provvedimento di vincolo.
È stato necessario rimettere la questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, con sentenza 13 febbraio 2023, n. 5, ha pronunciato i seguenti principi di diritto:
“– ai sensi degli artt. 7-bis, 10, comma 3, lett. d), 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, del codice n. 42 del 2004, il ‘vincolo di destinazione d’uso del bene culturale’ può essere imposto quando il provvedimento risulti funzionale alla conservazione della integrità materiale della cosa o dei suoi caratteri storici o artistici, sulla base di una adeguata motivazione da cui risulti l’esigenza di prevenire situazioni di rischio per la conservazione dell’integrità materiale del bene culturale o del valore immateriale nello stesso incorporato;
– ai sensi degli artt. 7-bis, 10, comma 3, lett. d), 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, del codice n. 42 del 2004, il ‘vincolo di destinazione d’uso del bene culturale’ può essere imposto a tutela di beni che sono espressione di identità culturale collettiva, non solo per disporne la conservazione sotto il profilo materiale, ma anche per consentire che perduri nel tempo la condivisione e la trasmissione della manifestazione culturale immateriale, di cui la cosa contribuisce a costituirne la testimonianza.”
1 Situato in Roma, alla Via Condotti 86, è il più antico caffè della città, aperto nel XVIII secolo, solo il Florian di Venezia è più antico in Italia. Il nome del locale potrebbe derivare dal fatto che Nicola della Maddalena, il caffettiere che lo ha fondato nel 1760 era greco, ma anche al caffè decantato al modo greco o turco, che si serviva in origine diverso da quello filtrato all’italiana. Fin dall’inizio le sale del Caffè Greco servivano da punto d’incontro per gli intellettuali. Numerose sono le personalità che lo hanno frequentato come Massimo D’Azeglio, Luigi di Baviera, Buffalo Bill, Ennio Flaiano, Aldo Palazzeschi, Cesare Pascarella, Richard Wagner, Orson Welles, Edvard Grieg, Johann Wolfgang von Goethe (cfr. https://www.prolocoroma.it/caffe-greco).
2 Legge, 1 giugno 1939, n. 1089, “Tutela delle cose d’interesse artistico e storico” (G.U. 8 agosto 1939, n. 184).
Art. 1. Sono soggette alla presente legge le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi: a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) le cose d’interesse numismatico; c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio. Vi sono pure compresi le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico. Non sono soggette alla disciplina della presente legge le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.
3 Art. 2. Sono altresì sottoposte alla presente legge le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse particolarmente importante e come tali abbiano formato oggetto di notificazione, in forma amministrativa, del Ministero per la educazione nazionale. La notifica, su richiesta del Ministro, è trascritta nei registri delle Conservatorie delle ipoteche ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore della cosa a qualsiasi titolo.
4 Legge abrogata dall’art. 166 del D. Lgs., 29 ottobre 1999, n. 490, salvo quanto previsto nel comma 2, art. 166 dello stesso D. Lgs., e dall’art. 2 del D.L., 22 dicembre 2008, n. 200, convertito dalla Legge, 18 febbraio 2009, n. 9, con la decorrenza ivi indicata.
5 Il Caffè Greco è stato definito bene di particolare interesse “perché, fondato nel 1765 e successivamente piùvolte abbellito con decorazioni e cimeli di interesse storico ed artistico, costituisce oggi un vario e pregevole esempio di pubblico ritrovo sviluppatosi attraverso due secoli di vita per la ininterrotta consuetudine da parte di artisti di ogni paese di frequentare le sue ospitali e raccolte salette, avendo rappresentato in Roma, per circa 200 anni, un centro di vita artistica universalmente noto”. Ciò in considerazione della “opportunitàdi assicurare la conservazione dell’attuale aspetto dei locali dello storico Caffè, come testimonianza della sua storia e del suo particolare ruolo nella vita culturale di Roma (…)”.
6 William Mitchell Gillespie, autore di Un americano a Roma, La guida di un newyorchese alla città del 1844, definì il Caffè Greco – un appuntamento fisso “(…) degli artisti di tutte le nazioni. (…) Quando entri, trovi il fumo così denso che riesci a malapena a vedere dall’altra parte della stanza, ma attraverso di esso appaiono vagamente le lunghe barbe, i feroci baffi, i cappelli spioventi, le giacche di velluto con tagli, i cappotti a rana e i volti selvaggi ma intellettuali, che caratterizzano la maggior parte dei giovani artisti di Roma (in: Rome: As Seen by a New-Yorker in 1843-4, Wiley and Putnam, New York, 1845)
7 L’Antico Caffè Greco non aveva accettata un rinnovo contrattuale con un adeguamento del canone di locazione ai prezzi di mercato. Fino ad allora ne pagava € 16.000,00 al mese, a fronte di € 180.000,00 di mercato (cfr. https://www.comunicaffe.it/caffe-greco-il-prossimo-gestore-paghera-sino-a-180-mila-euro-al-mese).
8 Sentenza n. 24473/2018, pubblicata il 20 dicembre 2018, il Tribunale Ordinario di Roma, Sesta Sezione Civile.
9 Corte d’Appello di Roma, Quarta Sezione Civile.
10 L’ordinanza è stata emessa “considerato che nel caso di specie èravvisabile il gravissimo danno, di cui all’art. 447 bis ultimo comma c.p.c, derivante alla parte appellante dall’esecuzione della sentenza impugnata, che comporterebbe la cessazione dell’attivitàsvolta dalla societàAntico CaffèGreco in immobile di particolare rilevanza storica, culturale e turistica, con verosimili ripercussioni anche sul piano occupazionale“.
11 In quell’occasione la Core d’Appello, chiarì che “doveva darsi per pacifica sia l’esistenza dei suindicati decreti ministeriali, sia l’importanza storica, artistica e culturale del Caffè Greco, luogo di ritrovo assai noto nel cuore della Capitale”.
12 La programmata udienza del 08.01.2020, presso il Tribunale delle Esecuzioni di Roma, non ha avuto luogo essendo intervenuta, nel frattempo, l’ordinanza dell’Ottava Sezione Civile della Corte d’Appello di Roma che ha accolto la sospensiva della sentenza di sfratto.
13 Art. 20. Interventi vietati
1. I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione. 2. Gli archivi pubblici e gli archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione ai sensi dell’articolo 13 non possono essere smembrati.
14 Art. 21. Interventi soggetti ad autorizzazione.
15 “sarebbe tutelata soltanto la destinazione d’uso di alcuni locali nei quali debba continuare a svolgersi un’attivitàdi un certo tipo; e neppure sarebbero tutelati soltanto alcuni arredi destinati a rimanere in un determinato immobile; ad essere tutelata, invece, attraverso un vincolo notificato volutamente ai due proprietari, sarebbero le distinte componenti di un determinato complesso aziendale, intriso di storia, arte e cultura. La sentenza impugnata, invece, male interpretando il vincolo costituito dal giudicato amministrativo, avrebbe determinato la distruzione di un bene culturale, non considerando che, in assenza di un accordo tra le parti, doveva ritenersi impossibile l’esecuzione dello sfratto” (cfr. pag. 6 della sentenza n. 1164/11 del TAR Lazo).
16 Il vincolo di interesse storico e artistico si collega alle caratteristiche intrinseche dei beni; pertanto, il decreto dichiarativo della particolare importanza ai fini pubblici non concreta l’imposizione di un vincolo espropriativo ai sensi dell’art. 42, comma 3, della Costituzione, e non comporta la necessità di indennizzo. La limitazione alla proprietà per le superiori ragioni della cultura è stata ricondotta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo alle ragioni d’interesse generale che, ai sensi dell’art. 1, prot. 1, seconda parte, giustificano l’apposizione del vincolo senza indennizzo.
17 Quest’ultimo, in data 13 novembre 1953, trasferì la proprietà della sua azienda (denominata ‘Antico CaffèGreco‘), comprendente i beni mobili, la licenza d’esercizio, le attrezzature, gli impianti e i depositi, alla società azionaria Antico Caffè Greco – Società per Azioni, della quale era amministratore unico e legale rappresentante la sig.ra Antonietta Gubinelli Grimaldi.
18 TAR Lazio, Seconda Sez., 07 febbraio 2011, n. 1164.
19 L’intera vicenda relativa ai vincoli conformativi ed espropriativi in Italia può essere oggi ricondotta al complesso bilanciamento – che non può che essere svolto con un’attenta cura e verifica del caso concreto – dei principi espressi dall’art. 42 della Costituzione, in cui si intersecano almeno tre discipline (Maruotti) (oltre al diritto di proprietà, la pianificazione urbanistica e l’espropriazione per pubblica utilità), tra loro ormai strettamente connesse non solo per la determinazione della giurisdizione esclusiva del g.a. ma soprattutto per gli aspetti procedimentali (cfr. note predisposte in occasione del corso di formazione e aggiornamento per magistrati amministrativi “Le procedure espropriative, a venti anni dall’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001”, organizzato dall’Ufficio studi e formazione della Giustizia Amministrativa (Roma, Palazzo Spada, 16 – 17 marzo 2023).
20 In linea generale, sono considerati locali storici gli esercizi commerciali aperti al pubblico con almeno settanta anni di vita, contraddistinti dalla presenza di valori storici, artistici ed ambientali.
Tra i requisiti solitamente richiesti dalle varie leggi regionali per l’attribuzione della qualifica di “locale storico” vi sono la localizzazione all’interno di un edificio di comprovato pregio architettonico e/o il possesso di arredi e strumenti di valore storico-artistico.
21 Cfr. pag. 10 della sentenza della Corte di Cassazione in commento.
22 cfr. TALAMONTI Alessandra, Vincoli culturali di destinazione d’uso e relativo perimetro applicativo. Il caso de “Il Vero Alfredo” al Consiglio di Stato, in Giustizia Amministrativa.
23 Art. 18 Vigilanza
1. La vigilanza sui beni culturali (, sulle cose di cui all’articolo 12, comma 1, nonché sulle aree interessate da prescrizioni di tutela indiretta, ai sensi dell’articolo 45,) compete al Ministero.
24 Art. 20 Interventi vietati
1. I beni culturali non possono essere distrutti, (deteriorati,) danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione.
25 Art. 21 Interventi soggetti ad autorizzazione
4. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. Il mutamento di destinazione d’uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente per le finalità di cui all’articolo 20, comma 1.
26 Art. 10 Beni culturali
3. Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13:
d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose Se le cose rivestono altresì un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedimento di cui all’articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale).
Avv. Paola Calvano