Utilizzo della prova scientifica (CTU) da parte dei giudici di merito: il giudizio esplicativo e quello controfattuale sul nesso eziologico

ABSTRACT

Il presente lavoro contiene riflessioni sulla sentenza n. 664/2023 della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, in ordine all’utilizzo della prova scientifica (CTU) da parte dei giudici di merito, con riferimento ai criteri del giudizio esplicativo e di quello controfattuale, ai fini della valutazione tecnica della sussistenza del nesso eziologico nell’ambito della colpa medica.

Introduzione

Con sentenza resa dal Tribunale di Napoli, nell’ambito di un processo per omicidio colposo per responsabilità medica, veniva riconosciuta la penale responsabilità del medico di base[1] e del medico di pronto soccorso[2] per i reati previsti e puniti dagli articoli 40, 41 e 589 del Codice Penale, condannando il primo ad anni uno e mesi sei di reclusione, la seconda a un anno di reclusione, nonché al risarcimento danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separata sede, attribuendo una provvisionale dell’importo di Euro 50.000,00 al marito e alla figlia della defunta.

La Corte di Appello di Napoli, adita dagli imputati, confermava la sentenza di prime cure.

Gli imputati proponevano dinanzi alla Corte di Cassazione gli stessi motivi dell’appello ottenendo la sentenza n. 664/2023 di annullamento della pronuncia di secondo grado, per intervenuta prescrizione del reato, cassandola anche per gli effetti civili e rimettendola dinanzi alla Corte di Appello Sezione Civile.

Il giudizio: riflessioni

In particolare, secondo la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte, non è in contestazione la causa del decesso della giovane donna[3].

Non vi è neppure contestazione, sulla condotta colposa del medico di base, per l’errata somministrazione del farmaco, in seguito alla diagnosi di ipertiroidismo, farmaco indicato per la opposta patologia di ipotiroidismo, con conseguente immissione nell’organismo della persona offesa di ormoni tiroidei, che ne avevano aggravato le condizioni di salute.

Parimenti non è in contestazione, con riferimento alla posizione del medico di pronto soccorso, che la stessa, in occasione dell’accesso della paziente al pronto soccorso del Presidio ospedaliero, non abbia ordinato esami ematochimici di routine, fra cui il dosaggio della glicemia.

Da censurare, secondo la Corte di legittimità, è il percorso argomentativo utilizzato dai giudici di merito in relazione alla utilizzazione della prova scientifica:  i giudici hanno sconfessato le affermazioni dei tecnici, definendole come ‘contraddittorie’, ovvero ‘infondate’, sulla base del loro personale sapere e si sono fatti essi stessi creatori della legge scientifica, in tal modo contravvenendo ai principi su indicati per i quali il giudice è custode e garante della scientificità della conoscenza espressa dai tecnici nel processo, ma non già egli stesso portatore di una propria conoscenza, rispetto a temi che richiedono cognizioni di saperi diversi da quello giuridico. I giudici, dunque, hanno apoditticamente affermato la rilevanza causale della condotta colposa degli imputati, senza adeguatamente soffermarsi, come sarebbe stato doveroso, sulle difformi valutazioni degli esperti e senza approfondire in maniera adeguata (eventualmente attraverso un accertamento peritale), da un lato, se la prescrizione da parte del medico di base del farmaco errato avesse determinato un processo causale inarrestabile e, dall’altro, l’incidenza causale della mancata diagnosi di diabete da parte del medico di P.S., a fronte del quadro già compromesso e della morte sopraggiunta solo 24 ore dopo.”

Breviter, la Corte di Cassazione ha fatto propri i motivi dei ricorrenti agitati in appello[4].

Già in pregresse pronunce, aveva già avuto modo di chiarire che, in tema di responsabilità medica, il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d’ufficio è tenuto ad un più penetrante onere motivazionale, illustrando accuratamente le ragioni della scelta operata[5], in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico-scientifico, a partire dalla preliminare, indispensabile, verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto.

Si tratta di principio che deve valere anche nel caso in cui, in difetto di accertamento peritale, i giudici si discostino dalle concordi conclusioni dei consulenti del Pubblico Ministero e della difesa, ovvero dalle conclusioni di coloro che hanno veicolato nel processo il sapere scientifico.

Secondo la Corte di Cassazione, “appare chiaro come sia oggi necessario allontanarsi dall’originaria qualificazione del giudice quale peritus peritorum, affermazione enfatica che lo connotava di una presuntuosa capacità di onniscienza, per attribuire al giudice un ruolo diverso: parliamo infatti di un giudice informato sui presupposti di validità del metodo o prove scientifiche utilizzate nel processo, di un giudice pronto a esaminare contrapposte visioni scientifiche e scegliere quella più convincente “non in base ad un’opzione pregiudiziale e immotivata, ma dopo aver dato il più ampio spazio al contraddittorio, a quella fondata su una dimostrata competenza scientifica e su argomentazioni che non abbiano trovato obiezioni insuperabili tenendo anche conto, e non marginalmente, delle eventuali evidenze probatorie atte a confermare o smentire il giudizio dell’esperto”.

In definitiva, le motivazioni che hanno indotto a rimettere la questione alla Sezione Civile della Corte di Appello di Napoli, riguardano, da un lato, il giudizio esplicativo e, dall’altro, quello controfattuale.

Ma è effettivamente così?

Occorre, porsi alcuni quesiti attraverso cui indagare se i Giudici abbiano seguito il giusto approccio metodologico nello stabilire se il medico di base avrebbe potuto o dovuto accertare il livello glicemico[6].

Invero, la Quarta Sezione Penale si è già pronuncia in passato sul punto[7] riconoscendo colpevole di omicidio colposo il medico di pronto soccorso che aveva cagionato la morte di un paziente per non avere disposto indagini diagnostiche atte a effettuare la diagnosi differenziale, limitandosi a un esame superficiale.

Il caso affrontato nel 2021 è sovrapponibile a quello oggetto della presente trattazione.

Allora, un medico del pronto soccorso ebbe in cura un paziente a cui non aveva correttamente valutato lo stato patologico in atto, omettendo una completa e analitica anamnesi, non effettuando un idoneo percorso diagnostico del disturbo lombare che lo aveva portato in ospedale, limitandosi a un esame obiettivo superficiale, disponendone le dimissioni senza procedere né a esami di laboratorio né a indagini diagnostico-strumentali che avrebbero consentito di fare luce sul fenomeno ulceroso in atto, impedendo così un pronto e corretto inquadramento diagnostico, ritardandone il necessario intervento chirurgico e determinandone l’aggravamento fino alla prognosi infausta per peritonite.

Il Tribunale aveva condannato il medico, la Corte di Appello lo aveva assolto.

La Suprema Corte, nel riformare la sentenza, aveva ribadito che “non è condivisibile l’affermazione che il garante [medico del P.S.], perché risponda dell’evento, debba essere dotato di tutti i poteri impeditivi, essendo richiesto all’agente di porre in essere solo quelli da lui esigibili; la posizione di garanzia richiede l’esistenza dei poteri impeditivi che, peraltro, possono anche concretizzarsi in obblighi diversi (per es. di natura sollecitatoria), e di minore efficacia, rispetto a quelli direttamente e specificamente volti a impedire il verificarsi dell’evento.

Del resto, nella gran parte dei casi, i garanti non dispongono sempre e in ogni situazione di tutti i poteri impeditivi che invece, di volta in volta, si modulano sulle situazioni concrete. Saranno proprio le situazioni concrete a determinare l’ambito dei poteri impeditivi esigibili da parte del garante e questi poteri possono essere limitati a un mero obbligo di attivarsi.

In concreto, appare chiaro che all’obbligo giuridico di impedire l’evento debba accompagnarsi l’esistenza di poteri fattuali che consentano all’agente di porre in essere, almeno in parte, meccanismi idonei a evitare il verificarsi dell’evento.

In definitiva, l’agente non può rispondere del verificarsi dell’evento se, pur titolare di una posizione di garanzia, non disponga della effettiva possibilità di influenzare il corso degli eventi.

L’ambito dell’obbligo di garanzia gravante sul medico di pronto soccorso può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie di quella branca della medicina che detta medicina d’emergenza o d’urgenza. In tale ambito rientrano l’esecuzione di taluni accertamenti clinici, la decisione circa le cure da prestare e l’individuazione delle prestazioni specialistiche eventualmente necessarie.

Correlata a tali doveri può ritenersi la decisione inerente al ricovero del paziente e alla scelta del reparto a ciò idoneo, mentre l’attribuzione della priorità d’intervento, detta triage ospedaliero, è procedura infermieristica.

Delineata entro tale ambito la posizione di garanzia del medico di pronto soccorso, è agevole riscontrare, nella giurisprudenza di legittimità, casi in cui il medico di pronto soccorso è stato ritenuto responsabile del decesso del paziente per non aver disposto gli idonei accertamenti clinici[8] o per non aver posto in essere una corretta diagnosi in modo da indirizzare il paziente in reparto o luogo di cura specialistico[9].

Accanto a queste ipotesi, si rinvengono pronunce nelle quali la responsabilità è stata esclusa in ragione della singolarità dei sintomi, dunque della difficoltà di porre una diagnosi corretta[10], ciò si spiega in quanto non è esigibile da tale sanitario una competenza diagnostica di livello pari a quella di tutte le altre specializzazioni medico-chirurgiche di cui deve occuparsi, con un approccio trasversale, nell’intervenire su casi acuti.

Tornando all’oggetto del presente contributo, va evidenziato che il medico di pronto soccorso era anche specializzata in endocrinologia e la paziente le era arrivata dopo un percorso terapeutico esplicato dalla medesima paziente ed era stato segnalato dalla suocera che quest’ultima bevesse e urinasse molto frequentemente.

Sempre la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte ha specificato che “fino a quando il dubbio diagnostico non sia stato risolto e non vi sia alcuna incompatibilità tra accertamenti diagnostici e trattamenti medico-chirurgici, il medico che si trovi di fronte alla possibilità di diagnosi differenziale non deve accontentarsi del raggiunto convincimento di avere individuato la patologia esistente quando non sia in grado, in base alle conoscenze dell’arte medica da lui esigibili (anche nel senso di chiedere pareri specialistici), di escludere patologie alternative, proseguendo gli accertamenti diagnostici e i trattamenti medico-chirurgici necessari” (sentenza n. 45602/2021).

Pertanto, se il medico di pronto soccorso era, come in effetti era, endocrinologa, non poteva non sapere che “in sostanza i pazienti che hanno una problematica autoimmune (come il Basedow) dovrebbero essere studiati /monitorati con una maggior attenzione per il loro aumentato rischio di sviluppare altre patologie autoimmuni (come il diabete tipo1)[11].    

Ed è lo stesso medico di pronto soccorso[12] a riconoscere che “sussiste una correlazione certificata dalla comunità scientifica tra l’ipertiroidismo e il diabete mellito di tipo1” .

Invero, i Giudici di primo e secondo grado, qualche misura, “si sono fatti dispensatori di sapere scientifico, cioè hanno sconfessato le affermazioni dei tecnici, definendole come ‘contraddittorie’, ovvero ‘infondate’, sulla base del loro personale sapere e si sono fatti essi stessi creatori della legge scientifica?

Il Tribunale ha motivato il proprio discostarsi dalle conclusioni dei CTU circa la facoltatività del medico di pronto soccorso di eseguire l’esame glicemico.[13]

In particolare, ha evidenziato le contraddizioni in cui è caduto il perito del PM che, in linea generale, aveva sostenuto come qualunque medico l’avesse avuta in cura avrebbe dovuto verificare una patologia correlata, perché in genere le stesse sono associate – secondo le indicazioni della comunità scientifica – ma poi, quando si è trattato del medico del pronto soccorso ha escluso tale obbligatorietà[14].

Ciò indipendentemente dal fatto che sia messo in discussione che i familiari abbiano riferito del continuo bere e urinare, perché l’indagine anamnestica spetta al medico, anche quando eventualmente il paziente fosse reticente: “con riguardo, quindi, alla necessità – a parere dei consulenti – che la condizione di poliuria e polidipsia fosse riferita dalla paziente, deve rilevarsi che è responsabilità del sanitario accertarsi che l’anamnesi sia completa, indipendentemente dal quadro sintomatologico riferito dalla paziente,alle cui sole dichiarazioni il sanitario non può arrestarsi, dovendo approfonditamente indagare tutti gli aspetti necessari al completo assolvimento dell’obbligo anamnestico e alla successiva elaborazione di una esatta e pertinente diagnosi”.

Ed invero, la Corte di Cassazione, sia pure in sede civilistica (relativamente alla responsabilità risarcitoria del sanitario), ha a più riprese affermato che “il paziente …eccetto omissioni a fronte di specifiche richieste del medico in sede di anamnesi, non può ritenersi avere responsabilità per le carenze di quella,non rientrando tra i propri obblighi né avere specifiche cognizioni di scienza medica, né sopperire ad accertare mancanze investigative del professionista[15].

Il Tribunale aveva pertanto deciso nel solco delle indicazioni offerte proprio dalla Quarta Sezione Penale della Cassazione, nella suindicata sentenza n. 45602/2021, ove si sostiene che è più corretto definire “il Giudice come un iudex peritorum, che non può rimanere acriticamente ancorato al dato tecnico-scientifico e deve, piuttosto, tradurne l’enunciato in termini logico-giuridici”.

Tale discorso vale sia per il ragionamento esplicativo che per quello controfattuale.

Nel primo caso, il Tribunale ha valutato con rigore le prove per stabilire se esse corroborassero l’ipotesi accusatoria circa la relazione tra una determinata condotta umana e l’evento verificatosi alla luce di una legge naturale, ove disponibile, o alla luce di regolarità statistiche o di generalizzazioni probabilistiche, gli studi del settore di riferimento, parametrando a queste le affermazioni dei consulenti del PM e di parte.

Nel giudizio controffatuale, il Tribunale si è domandato cosa sarebbe successo se il medico di base avesse prescritto il farmaco corretto e avesse indagato anche sulla patologia diabetica e se il medico del pronto soccorso avesse effettuato l’emogas-analisi. Si tratta chiaramente di un giudizio ipotetico, che si svolge alla luce del “paradigma indiziario” disponibile[16].

Come vada svolto tale giudizio, è sempre la richiamata sentenza di legittimata 45602/2021 a precisarlo: “al giudice si impone una puntuale analisi delle particolarità del caso concreto, che potrà condurre a un giudizio di elevata credibilità logica, indipendente da rigide quantificazioni statistiche, strettamente correlato alle caratteristiche del caso concreto sulla base di un ragionamento probatorio non incerto. In sostanza, ciò che si impone di verificare nel giudizio controfattuale è l’elevata credibilità logica dell’efficacia salvifica della condotta alternativa corretta con l’obiettivo di raggiungere una certezza processuale che sia frutto dell’elaborazione, da parte del giudice, delle evidenze disponibili[17].

Orbene, a questo punto ci si chiede cosa sarebbe successo se il medico di base, effettuata la prima valutazione clinica della paziente, non si fosse limitato al dosaggio della funzione tiroidea ma avesse indagato anche su altri parametri ematochimici, come la glicemia?

Il CTU del PM risponde: “avrebbe potuto permettere di anticipare diagnosi e trattamento del diabete di qualche mese, prevenendo così la comparsa di scompenso chetoacidosico”.

L’assunzione prolungata del farmaco controindicato, ha la capacità di determinare un aggravamento della patologia cardiologica, ricollegabile alla patologia tiroidea da cui era stata affetta la paziente. Possiamo dire che abbiamo avuto un’accelerazione del quadro clinico nell’ultimo periodo di tempo e quindi, intuitivamente, probabilmente, l’Eutirox somministrato alla paziente certo non le ha fatto bene, diciamo che potrebbe avere accentuato”.[18]

E ancora “la mancata diagnosi dell’ipertiroidismo, ad opera del medico di base, aveva comportato anche un ritardo nella diagnosi del diabete mellito di tipo 1. Difatti, a parere dell’esperto, la normalizzazione della funzione tiroidea (per il tramite dell’esatta diagnosi e della somministrazione di una terapia farmacologica congrua) avrebbe consentito ai sanitari di ravvisare, con un certo anticipo, la sintomatologia da diabete (“in questo modo si è perpetrata una sintomatologia da ipertiroidismo, che ripeto è molto simile a quella da diabete scompensato, e quindi […] i medici erano condizionati ad attribuire questo tipo di sintomatologia alla terapia tiroidea[19] .

L’erronea somministrazione di Eutirox per un arco temporale di circa un mese aveva pertanto, “inciso in termini di una più rapida evoluzione della patologia diabetologica e, a contrario, di un rallentamento della reazione dell’organismo alla terapia a base di Tapazole[20].

A questo punto, è di obbligo chiedersi cosa sarebbe successo se il medico di proto soccorso avesse effettuato l’esame glicemico?

Il Tribunale ammette che “…avrebbe potuto diagnosticare la concomitante presenza del diabete di tipo1, così da innescare la terapia farmacologica corretta, atta ad impedire il verificarsi dell’evento, o comunque il suo concretizzarsi a distanza di ventiquattro ore dall’accesso” all’Ospedale[21].

Nella sentenza n. 45602/2021 la Corte di Cassazione si era a contrario doluta che “la Corte territoriale aveva, supinamente riportato nell’argomentazione della decisione il dato fornito dai consulenti, secondo il quale non vi era certezza assoluta dell’efficacia salvifica della condotta alternativa corretta, in definitiva omettendo di svolgere il giudizio controfattuale, che impone al giudice di elaborare il dato tecnico-scientifico, che raramente nelle scienze bio-mediche fornisce informazioni in termini di assoluta certezza, alla luce dei criteri logico-giuridici più volte indicati dalla giurisprudenza di legittimità.”

Infine, bisogna domandarsi se il medico di pronto soccorso, a ragione, avrebbe dovuto pensare ad altre patologie correlate.

A questo interrogativo ha risposto il CTU in sede di escussione, affermando che tutti ma soprattutto gli endocrinologi, avrebbero dovuto farlo[22].

In definitiva, va compreso se il Tribunale e la Corte di Appello avessero in sostanza seguito un percorso logico per il giudizio controfattuale.

Secondo le indicazioni della Suprema Corte, il Tribunale ha sia ricostruito la sequenza fattuale che ha portato all’evento morte, sia ipotizzato se, posta in essere la condotta dovuta dall’agente (intervento tempestivo del medico di pronto soccorso), l’evento lesivo sarebbe stato evitato o posticipato[23].

Sussiste quindi, nel caso di specie, la prova del nesso eziologico tra l’omessa adozione, da parte del medico, delle misure necessarie a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso della paziente, atteso che “secondo il principio di controfattualità (condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica), la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa[24].

Tra l’altro, nel caso di reato colposo omissivo improprio, come quello della fattispecie in esame, si richiama un ulteriore precedente in cui le Sezioni Unite[25] hanno ribadito che il rapporto di causalità tra l’omissione del medico e l’evento morte non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica[26].

Al contrario, il nesso eziologico deve essere verificato seguendo un giudizio di alta probabilità logica, che deve basarsi: “su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto”.

Pertanto, il nesso di causalità può esistere non solo in relazione al rapporto tra fatto ed evento dannoso, ma anche tra fatto ed accelerazione dell’evento, costituendo pregiudizio anche la privazione del fattore “tempo”.

Infine, il comportamento del medico di base non esclude certo quello del medico di pronto soccorso, anzi l’omissione di costei ha portato e/o accelerato l’exitus[27].


[1]  Era contestato, in particolare, che: “in qualità di medico di base ebbe in cura la signora defunta nel mese di ottobre dellanno 2013, e, a fronte di un quadro clinico (sintomatico di ipertiroidismo) caratterizzato da tiroidite autoimmunitaria associata a un intervento del valore degli ormoni tiroidei e conseguente tireotossicosi, prescriveva una terapia farmacologica, seguita per circa un mese, a base di Eutirox mg. 50, con successivo incremento posologico a 75 mg., del tutto incongrua considerata la condizione di tireotossicosi della paziente, in luogo di una terapia basata sulla somministrazione di farmaci ad azione tireostatica atti a bloccare la sintesi dellormone tiroideo, determinando, per leffetto, un peggioramento della sintomatologia clinica (tireotossicosi) e un ritardo nella diagnosi di diabete di tipo 1; ometteva, anche a fronte di una sintomatologia (astenia, dimagrimento) compatibile con uno scompenso diabetico, di disporre un tempestivo approfondimento diagnostico (mediante esami ematochimici come la glicemia) che avrebbe consentito di anticipare la diagnosi e il trattamento del diabete di tipo 1, prevenendo la comparsa dello scompenso chetoacidosico successivamente intervenuto

[2] Era contestato che: “in qualità di medico in servizio presso il Pronto Soccorso dellAzienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, in data 15.12.2013 e, a fronte di un quadro anamnestico caratterizzato da poliuria e polidipsia (indici sintomatici del diabete), evidenziato dai familiari della paziente, di un quadro clinico emergente degli esami ematochimici e morfologici tiroidei esibiti dalla paziente (con diagnosi di ‘ipertiroidismo autoimmune’) e  dellesame ECG che evidenziava ‘tachicardia sinusale’ (120 battiti/minuto), ometteva di prescrivere un prelievo ematico per il dosaggio della routine ematochimica di urgenza (normalmente comprensivo anche della glicemia), dimettendola dopo pochi minuti (presa in carico alle ore 13,47 e  dimissioni alle ore 13.51) e limitandosi a confermare la terapia precedentemente prescritta con il solo incremento posologico del Tapazole, laddove lesecuzione di un prelievo ematico avrebbe consentito di diagnosticare il concomitante scompenso diabetico con un anticipo di circa ventiquattro ore rispetto allexitus e di impostare un corretto trattamento farmacologico. Entrambi, con le condotte sopra indicate, determinavano un aggravamento delle condizioni cliniche della paziente, portandola il 16.12.2013 al decesso, a causa di un collasso cardiocircolatorio indotto dalla contemporanea presenza di tireotossicosi e di chetoacidosi diabetica.

[3]Non vi era contestazione sulla causa della morte della giovane donna ricondotta, invero, a un arresto cardiocircolatorio dovuto ad aritmia, quale portato della cardiomiopatia correlata alla situazione di ipertiroidismo con crisi tireotossica e della chetoacidosi diabetica.

[4]  Le ragioni del rinvio vanno individuate nelle contestazioni mosse dai ricorrenti dell’accertamento della causalità fra la condanna dei sanitari e l’evento morte, in particolare, il medico di base “ha rilevato che non era emersa nel corso del processo una spiegazione medico scientifica in forza della quale l’aggravamento delle condizioni di salute che aveva condotto la donna alla morte fosse stata conseguenza, con alta probabilità logica, della incongrua prescrizione e assunzione di Eutirox e che anzi le evidenze scientifiche del processo deponevano in senso contrario: i Consulenti tecnici del PM, pur con diversità di percorsi argomentativi, avevano tutti negato la possibilità, in termini medico legali, di formulare un giudizio di responsabilità a carico del medico di base; così pure il teste qualificato (endocrinologa che dal 4 novembre aveva avuto in cura la paziente) aveva escluso che i sintomi accusati dalla paziente al momento della visita del 4 novembre fossero ricollegabili a ipertiroidismo iatrogeno; dagli esami ematochimici effettuati il 21 novembre era risultata la sovrapponibilità della condizione tiroidea a tale data con quella degli esami effettuati nei primi giorni di settembre, dovendosi, pertanto, concludere che alla data del 21 novembre gli effetti della errata prescrizione farmacologica fossero stati neutralizzati” (cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza).

[5] In questo senso, già Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, sentenza n. 19386/2019: “Il giudice di merito, in presenza di contrapposte tesi ricostruttive dei fatti che presuppongono conoscenze extragiuridiche, può prediligere una delle diverse opinioni scientifiche, purché dia congrua motivazione della propria scelta e dimostri di avere affrontato anche la tesi che non ritenga di voler seguire.”

[6]  cfr. pagg. n. 7 e 8 della sentenza n. 664/2023.

[7] La IV Sezione Penale della Corte di Cassazione si è già pronuncia sul punto con la sentenza n. 45602/2021, Presidente Di Salvo e Relatrice Consigliere dott. Serrao che è, di fatto, parte anche del collegio che ha redatto la sentenza oggetto del presente rinvio alla Corte di Appello Civile di Napoli,

[8] Sez. IV, n. 18573 del 14.02.2013, Meloni, Rv. 256338.

[9] Sez. IV, n. 29889 del 05.04.2013, De Florentis, Rv. 257073.

[10] Sez. IV, n. 35659 del 09.07.2009, Morana, Rv.245316.

[11] È quanto affermato dal CTU nominato dal PM in fase di indagini preliminari, a pag. 37 del proprio elaborato peritale.

[12] Come riportato a pag. 47 della sentenza del Tribunale di Napoli, a firma della dott. B. Mendia. La Comunità scientifica ha chiamato la raccolta “Raccomandazioni per la pratica clinica Tireopatie e Diabete”,  acquisite nel corso del dibattimento in primo grado e indicate in più punti della sentenza del Tribunale (cfr. pagg. 47 e 48): “…ben illustrati dalla comunità scientifica sono, quindi, i rischi connessi allinterazione tra lipertirodismo e il diabete, rischi, invero concretizzatisi nella storia clinica della paziente…Tali profili – connessi alla predisposizione genetica comunque, quanto allassociazione tra ipertiroidismo autoimmune e diabete mellito di tipo 1 – non sono stati vagliati da nessun sanitario, men che meno dal medico di P.S., dinanzi alla quale la donna era giunta in P.S., dopo aver riferito dei diversi trattamenti farmacologici ai quali si era sottoposta in ragione dellipertiroidismo, senza registrare margini di miglioramento.”

[13] cfr. pag. 48 della sentenza, fondando la propria scelta proprio sulle Raccomandazioni citate prima: “…è totalmente sconfessato dalle Raccomandazioni per la pratica clinica Tireopatie e Diabete’, delle cui percentuali di correlazione tra ipertiroidismo e diabete era ben conscia, per sua stessa ammissione, anche del medico di P.S.. A tale assunto si perviene, peraltro, anche alla luce di quanto prospettato dal CTU del PM [ pag. 38 punto b) del proprio elaborato peritale, sopra riportato]: il quale – sia pur professando una mera discrezionalità del sanitario del P.S., di controllare i valori di glicemia nel sangue – ha comunque  affermato, sia in sede di elaborato peritale, sia in sede di escussione, che la paziente  al momento dellaccesso presso il P.S. dellOspedale A. Cardarelli”, era già inequivocabilmente affetta da diabete di tipo 1.

[14]…Incongruo, dunque – a parere del giudicante – è da un lato affermare, in linea di principio, il dovere del sanitario di accertare la eventuale compresenza di altre patologie, prima tra tutte, lo scompenso glicemico da diabete di tipo1, ed in concreto, ricondurre la scelta di eseguire la routine ematochimica di urgenza – del resto, ad una paziente con un quadro clinico già compromesso – al mero vaglio critico e discrezionale del medico di P.S.”.

[15] cfr. pag. 49 della Cass. Civ. senteza n. 26426/2020.

[16] cfr. Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, sentenza n. 43786 del 17.09.2010.

[17] Sez. IV, n. 16843 del 24.02.2021, Suarez, Rv. 281074; Sez. IV, n. 29889 del 05.04.2013, De Florentis, Rv. 257073; Sez. IV, n. 18573 del 14.02.2013, Meloni, Rv. 256338.

[18] cfr.. pag. 15 della sentenza del Tribunale di Napoli. 

[19] cfr. stenotipico del 26.11.2019, pag. 20.

[20] cfr. pag. 20 della sentenza del Tribunale di Napoli.

[21] cfr. pag. 51 della sentenza del Tribunale di Napoli.

[22] Il teste riferiva che, già a partire dai primi di ottobre, avrebbe dovuto essere noto che la paziente era affetta da una disfunzione autoimmune, denominata morbo di Basedow o Hashimoto (a seconda della direzione che prende poi la patologia). “Questo tipo di condizione può determinare, oltre al quadro di infiammazione tiroidea, anche un quadro infiammatorio di altri organi e quindi altre patologie. Raramente, però succede, queste patologie si possono associare, questa condizione può determinare, oltre al quadro di infiammazione tiroidea, anche un quadro infiammatorio di altri organi e quindi altre patologie. Raramente, però succede, queste patologie si possono associare, per cui succede, che al momento in cui uno ha una tiroidite, da endocrinologo cerco di pensare anche a eventuali altre patologie che potrebbero essere associate e quindi in qualche modo ci devo pensare” (cfr. pagg. 19 e 20 della sentenza del Tribunale di Napoli). 

[23] Cass. n. 43459/2012: “In tema di responsabilità medica, è dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o differito”.

[24] Cass. Pen. n. 18573/2013.

[25] Cass. S.U. n. 38343/2014.

[26] IV Sez. della Corte di Cassazione, risolto con sentenza n. 45602/2021, “Il giudice non può attingere a criteri di mera probabilità statistica, ma deve fare riferimento al criterio della probabilità logica, intesa come ‘la verifica aggiuntiva’, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica rispetto al singolo evento oggetto dell’accertamento giudiziale». La Corte di Cassazione aveva già espresso questo principio in una precedente pronuncia (Cass. III Sezione Civile, 10.05.2000, n. 5962) rispetto all’evento morte: “del bene della vita, lelemento tempo costituisce una componente essenziale, con la conseguenza che ogni fatto imputabile che ne determini lanticipata cessazione, influenzando un fattore patogenetico già esistente e costituente la causa clinica del decesso, non può considerarsi mera occasione, ma concausa, rompendo quellequilibrio precario nella salute del soggetto, che, per quanto con prognosi infausta per il futuro, si era generato; quindi, il nesso di causalità va esaminato, secondo i principi della regolarità causale, non solo tra fatto ed evento letale, ma anche tra fatto e accelerazione dellevento morte”.

In una successiva pronuncia (Cass. III Sezione Civile, 27.11.2012, n. 20996), il Supremo Collegio aveva altresì affermato che anticipare il decesso di una persona già destinata a morire perché afflitta da una patologia costituisce pur sempre una condotta legata da nesso di causalità.

[27]ogni sanitario – compreso il personale paramedico – è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alla specifiche mansioni svolte, allosservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dellagente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti laltrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza della cause, salva laffermazione dellefficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere delleccezionalità ed imprevedibilità”.

Ne consegue che “ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare lattività precedente o contestuale svolta da un altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con lausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio”.

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