ABSTRACT
Il presente contributo si concentra su una breve disamina dell’abuso edilizio e, più nello specifico, si occupa di individuare una normativa che regolamenti lo smaltimento delle acque di lavaggio delle betoniere all’interno dei cantieri edili. Rilevata l’inadeguatezza normativa sul punto, si conclude proponendo non solo un intervento normativo adeguato ma anche ulteriori soluzioni che porterebbero ad arginare il problema dell’abuso correlato al detto smaltimento.
Sommario
Abusivismo edilizio
Se si dovessero perimetrare i settori in cui l’effetto criminogeno ha maggiore capacità diffusiva, sicuramente tra quelli che presentato un’esposizione maggiore, soprattutto negli ultimi anni, vi è quello ambientale-edilizio.
Come noto, infatti, il settore edilizio riveste per sua natura una capacità redditizia elevata, in grado di attrarre, da diversi punti di vista, l’interesse sia della criminalità organizzata, che del singolo.
Tale capacità criminogena si è potuta rilevare con un alto tasso di incidenza, soprattutto negli ultimi anni a seguito degli incentivi economici messi a disposizione dall’Unione Europea per favorire il rilancio “green” dell’economia edilizia italiana, al fine di adeguare la medesima agli standard europei in ordine alla sostenibilità economica-ambientale, obiettivo cardine delle politiche europeiste e internazionali.
A seguito dei bonus destinati alla ripresa e alla resilienza del settore edile, su tutti l’eco-bonus, si è assistito da una parte all’escalation del crimine “imprenditoriale” basato sulla logica dell’occultamento e della manipolazione delle voci di entrata e di spesa effettive (emissione di fatture false, emissione di fatture manipolate al rialzo in relazione alle spese) e dall’altra, all’emersione del cosiddetto abusivismo edilizio, che, anche a seguito di una normazione scarsa in passato, notoriamente rappresenta la principale espressione dell’illecito a rilevanza penale di tale settore in Italia.
Ai fini del presente contributo, risulta fuorviante esaminare il primo tipo di illecito penale e pertanto si dedicherà l’attenzione sul secondo tipo: l’abusivismo edilizio.
In via preliminare, bisogna chiarire che l’attività edilizia si qualifica abusiva quando è contra ius/legem, ossia quando si accerta essere realizzata in violazione di disposizioni normative cui risulta subordinata. Come già anticipato, nel settore edilizio, da una situazione di scarsità normativa si è giunti alla normazione sistematica su più livelli, dove al livello più alto si colloca la normazione statale che detta i principi e le coordinate necessarie al fine di uniformare la disciplina a livello nazionale.
A livello sub-statale si collocano le Regioni che si occupano di disciplinare l’attività edilizia nello specifico e sulla base della conformità della medesima alla particolare morfologia ed estensione del territorio regionale.
A livello locale, infine, svolgono un ruolo importante gli enti comunali, i cui organi sono chiamati a redigere i piani regolatori al fine di suddividere le aree in base alle caratteristiche morfologiche e alla densità della popolazione, in coerenza con il principio di prossimità.
Orbene, l’abusivismo edilizio si verifica ogni volta che, nel complesso dell’attività edilizia, che ricomprende l’attività burocratica e quella realizzativa, si assiste alla violazione della disciplina di settore prevista.
In particolare, si parla di abusivismo edilizio, sia con riferimento alle costruzioni illegali, ove si costruisce ex novo senza il rilascio delle autorizzazioni specifiche, sia con riferimento agli ampliamenti non autorizzati (modifiche dei prospetti e delle volumetrie), sia con riferimento all’utilizzo di materiali e metodi non conformi alle normative, perché contrari alla buona tecnica e agli standard minimi qualitativi.
Mentre con riferimento all’abusivismo del primo tipo, l’accertamento dello stesso non presenta particolari problemi perché di facile evidenza, l’abusivismo del secondo tipo è per sua natura subdolo e dunque di difficile accertamento.
Ne consegue che proprio tale difficoltà, unita all’elevata pericolosità insita nell’impiego di materiali di bassa qualità e nell’applicazione di metodi obsoleti, rappresenta una delle principali minacce alla tutela del territorio, con gravi impatti ambientali e sociali.
Il settore edilizio infatti costituisce una parte del settore ambientale e pertanto è correlato ad altri settori incidenti sul primo. Si pensi alla normativa urbanistica, alla normativa antisismica, alla normativa sulle prestazioni energetiche degli edifici, alla normativa antincendio, al codice dei beni culturali e del paesaggio, al Codice della strada, alle norme di sicurezza e igienico-sanitarie.
In ragione dell’impatto ambientale e sociale poc’anzi descritto, il meccanismo di tutela si atteggia prevalentemente sul doppio binario della sanzione penale e della sanzione amministrativa.
In particolare, l’abuso edilizio costituisce reato quando le violazioni hanno un impatto significativo sulla pubblica incolumità (stabilità o la sicurezza delle strutture), sulla sostenibilità urbanistica-ambientale (vincoli paesaggistici-distanze) o sul patrimonio culturale (deturpamento-rovina dei beni culturali).
L’art. 44 del DPR n. 380/2001 è la norma principale posta a presidio degli illeciti edilizi più gravi.
Tale disposizione prevede tre ipotesi criminose, cui sono ricollegate sanzioni di diversa natura ed entità.
Sul punto, è importante chiarire che tali norme si applicano anche agli interventi edilizi che possono essere realizzati tramite SCIA alternativa al Permesso di costruire (Super SCIA) ai sensi dell’articolo 23, I comma, quando siano eseguiti in assenza di autorizzazione o in totale difformità dalla stessa.
Ciò significa che anche le costruzioni che seguono una procedura semplificata, ma che non rispettano le condizioni previste, sono soggette alle dette disposizioni.
La rigorosità dell’intervento normativo, ora descritto, conferma l’intento repressivo del legislatore che, in armonia con le disposizioni europee e internazionali, ha l’obiettivo di proteggere l’ambiente in generale e l’urbanistica in particolare, cercando di prevenire l’abuso edilizio e allo stesso tempo di promuovere uno sviluppo sostenibile.
Smaltimento e lavaggio delle betoniere da cantiere
Quando si fa riferimento al settore edilizio, non si può non tenere in considerazione l’impatto ambientale che la presenza del cantiere stesso comporto in danno al territorio.
Spesso, infatti, la predisposizione dei cantieri, la loro messa in sicurezza e lo smaltimento dei materiali, a fronte delle problematiche poste in evidenza al primo punto del presente contributo, passa in sordina, quasi fosse una questione di poca rilevanza. Tanto è dimostrato dal fatto che, nonostante l’evoluzione normativa tesa a regolamentare il settore edilizio in generale e la corretta eliminazione dei detriti in particolare, ad oggi, in ordine allo smaltimento dei materiali di risulta e al lavaggio delle betoniere da cantiere non è prevista una normativa di riferimento.
Si pensi alla rilevanza che assume l’assenza normativa appena descritta con riferimento alle innumerevoli betoniere che, ogni giorno, devono essere ripulite.
Ci si deve chiedere, pertanto, se una situazione di tal fatta possa ancora considerarsi accettabile.
Se solo si avesse un minimo di contezza dell’impatto ambientale provocato dai lavaggi delle betoniere, è chiaro che la risposta non potrebbe che essere negativa.
Infatti, dal lavaggio della canala (e della pompa), dopo lo scarico, l’autobetoniera deve essere sottoposta a più lavaggi per rimuovere il calcestruzzo e gli altri materiali impastati. Dalla stessa pertanto fuoriescono cemento diluito, additivi, inerti e altri materiali che, la maggior parte delle volte, vengono fatti defluire sul terreno ove viene effettuata l’operazione di pulitura.
Il lavaggio è ovviamente necessario, sia per non deteriorare e rendere inservibili le betoniere, sia per non imbrattare le strade (private o pubbliche) durante il rientro dal cantiere.
Ciò che appare poco chiaro sono, per l’appunto, le modalità del lavaggio in sé e lo scarico delle acque contaminate dai detti materiali edili.
In assenza di una normativa specifica, considerata la quantità significativa di rifiuti di calcestruzzo proveniente dall’attività di lavaggio delle betoniere e viste le modalità in cui avviene il trattamento, è chiaro che tale situazione non possa e non debba perdurare ancora.
Infatti la gestione inadeguata di questi rifiuti può portare a gravi forme di impatto ambientale, segnatamente l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere provocando, nel lungo periodo, il collasso delle misure di tutela ambientale poste in essere nel tempo.
Non solo, la presenza di sostanze chimiche nei rifiuti di calcestruzzo può rappresentare un serio pericolo per la salute umana.
Infatti, la contaminazione delle falde acquifere può protrarsi fino alle reti idriche determinando, nel migliore dei casi l’aggravio, in termini di spesa e di costo di manodopera, delle operazioni di bonifica cui le amministrazioni locali devo provvedere, fino al verificarsi di casi di avvelenamento dei cittadini, ove siano carenti i controlli.
Dati gli effetti negativi diretti e collaterali appena rilevati, l’assenza di una normativa specifica sul punto non era e non è accettabile. Tale vuoto legislativo, come si è anticipato, facilita gli abusi e aggrava l’inquinamento ambientale.
In materia, si registra una sola pronuncia della Corte di Cassazione, risalente al 2013, vertente sul corretto smaltimento dei residui dei materiali edilizi da considerarsi come rifiuti speciali.
In particolare, con la sentenza n. 42338, del 15 ottobre 2013, la Suprema Corte ha chiarito che la breccia e il sabbione di cemento rientrano nella categoria dei rifiuti speciali e pertanto devono essere smaltiti secondo la disciplina per questi prevista in conformità ai requisiti fissati dal Codice dell’ambiente (Decreto Legislativo n. 152/2006).
La classificazione dei materiali edili residui certamente contribuisce ad orientare il comportamento degli addetti alla mansione e di chi ne controlla l’operato ma, se isolata, non è in grado di apportare una risposta efficace ed efficiente per arginare, il più possibile, l’abuso.
Considerazioni conclusive: proposte
La mancanza di una normativa adeguata per lo smaltimento dei residui delle betoniere rappresenta una grave lacuna nella tutela del territorio contro l’abuso edilizio.
È essenziale elaborare leggi specifiche, promuovere tecnologie di riciclaggio e sensibilizzare la popolazione per garantire una gestione sostenibile dei rifiuti edili e proteggere l’ambiente.
In particolare, l’uso di tecnologie innovative, ad esempio, per il riciclaggio del calcestruzzo, potrebbe ridurre significativamente l’impatto ambientale e fornire materiali riutilizzabili per nuove costruzioni.
Sicuramente, fra le proposte di soluzioni per far fronte a tale problematica, vi è quella di offrire incentivi economici per le imprese che investano in tecnologie di riciclaggio del calcestruzzo, sviluppare e applicare leggi che regolamentino lo smaltimento dei materiali di risulta delle betoniere, con sanzioni severe per chi non rispetta le norme ed educare i professionisti del settore edilizio e il pubblico sui rischi ambientali e sui metodi di smaltimento corretto.
Avv. Marika Petrone, Francesca Fuscaldo (Funzionario Ministero Giustizia)