Tutela delle ricette di cucina, dell’impiattamento e del packaging

L’espressione “opere d’ingegno” indica quei beni immateriali che consistono in creazioni dell’intelletto umano che appartengono a una della categorie di cui all’art. 1 della Legge sul diritto d’autore n. 633/194 (Lda)1 che ha la funzione di circoscrive la tutela a quelle tra le opere di ingegno che presentino un preminente carattere creativo, riconducibili a una delle forme espressive artistiche o scientifiche indicate dalla medesima normativa, nonché ai “programmi di elaborazione” (software) e alle banche dati.

Il campo di applicazione indicato dal successivo articolo 2 della Lda presenta un elenco delle opere protette che, come affermato dalla prevalente giurisprudenza, è meramente esemplificativo e non tassativo.

Tra quelle allora che possono costituire oggetto di tutela, un posto particolare è occupato dalle ricette di cucina.

Nel 510 a. C., in Magna Grecia, già la “legge di Sibari” tutelava la proprietà intellettuale dei cuochi dell’Antica Grecia2 attraverso la concessione di una sorta di tutela brevettuale a coloro i quali si fossero distinti nella creazione di particolari opere culinarie.

La norma recitava: “Se uno dei cucinieri o dei cuochi inventa un piatto originale ed elaborato, a nessun altro è concesso utilizzare la ricetta se non all’inventore stesso prima che sia trascorso un anno e così, a chi per primo l’abbia inventata sia riservato di trarne profitto durante il suddetto periodo; ciò affinché gli altri, dandosi da fare essi stessi, si segnalino per invenzioni di tal genere”.

Nel 2015, all’Expo di Milano dedicata quell’anno al cibo in tutte le sue varie declinazioni, lo chef Gualtiero Marchesi organizzò un processo simulato3 per dimostrare come si protegge il “made in Italy” e cosa accade nel caso di plagio in campo agroalimentare4 soprattuto quando a essere copiato sia un suo piatto iconico di un grande chef.

Gualtiero Marchesi indossò i panni del querelante e persona offesa per avere visto un suo allievo ed ex dipendente tale Guido Rossi, nel ristorante da lui aperto e gestito in seguito a un litigio tra loro, servire un suo piatto denominato “Riso, Oro e Zafferano”.

Lo stesso era stato inserito in menù con un nome identico come identico era il prezzo di vendita, unica differenza la dicitura “Omaggio a Marchesi”.

Il piatto originale si presentava bianco, tondo con un bordo nero e al centro disposto il risotto allo zafferano, alla fine della preparazione sopra era poggiata una foglia d’oro edibile.

Il 14 dicembre 2002, Marchesi aveva registrato l’impiattamento che riproduceva il piatto e il risotto nella sua presentazione finale, come design comunitario n. 000005/2002.

Il piatto era stato pubblicato su diversi libri, riviste, siti di cucina e riviste culturali e d’arte e Marchesi riteneva che l’impiattamento potesse essere tutelato sotto il profilo autorale mentre la modalità di presentazione e la sua promozione sotto il profilo concorrenziale.

Marchesi era convinto che l’immagine del piatto in unione con la dizione riso, oro e zafferano o anche considerato singolarmente, potesse essere tutelabile come marchio.

Il problema nel piatto dello chef Rossi era dato dall’utilizzo del tipo di materia prima, ossia riso Basmati che non è italiano e per giunta di scarsa qualità al posto del Carnaroli che ha una qualità di gran lunga superiore e servito come quello di Marchesi nel caratteristico piatto tondo con bordo nero, guarnito con foglia d’oro commestibile.

Accanto a Marchesi era intervenuto il Prof. Mario Franzosi, mentre, per Rossi, l’Avv. Cristiano Bacchini.

Il collegio giudicante era formato da Marina Tavassi, allora Presidente della Sezione Imprese del Tribunale di Milano, in qualità di Presidente del Collegio con Roberto Magnaghi, direttore dell’Ente Risi Italiano, che rivestiva il ruolo di giudice a latere, insieme all’Avv. Anna Maria Stein.

Nella veste di consulente tecnico d’ufficio il Tribunale aveva nominato l’Avv. Ponti di Udine che ritenne configurabile un’ipotesi di frode in commercio con richiesta di rinvio degli atti in Procura oltre una lesione del cosiddetto “sounding italiano” in relazione al risotto per avere fatto credere Rossi che non di Basmati si trattasse, ma di Carnaroli.

La sentenza riconobbe al piatto “Riso, Oro e Zafferano5 quella creatività e quel valore artistico indicato dalla Lda per ottenere la tutela e quindi la valida registrazione del suo piatto come “marchio di forma” anche per la sua capacità distintiva.

Di conseguenza lo chef Guido Rossi fu ritenuto responsabile di “atti di concorrenza sleale per imitazione servile, fattispecie denigratoria dei principi della correttezza professionale” e condannato per contraffazione con “inibizione dell’offerta in pubblico del piatto oggetto della disputa”, prevedendo una penale di Euro 100,00 per ogni violazione commessa ed Euro 2.000,00 per ogni giorno di ritardo.

Il piatto dello chef Marchesi veniva considerato così un’opera d’arte da proteggere per la scelta degli ingredienti, perché appunto la mano dell’artista si nota in questo, nel modo di combinarli, di cucinarli, e anche nel modo in cui vengono presentati, tutti elementi frutto di anni di studio e di ricerca intorno a quella preparazione.

Il problema nel caso di specie, era rappresentato dalla scelta di un ingrediente sbagliato che avrebbe potuto rovinare l’immagine dello chef Marchesi, perché per le sue caratteristiche fisiologiche non avrebbe potuto avere una resa uguale al Carnaroli.

L’Ente Nazionale Risi intervenuto nel processo aveva dimostrato infatti come la varietà Basmati non si adattasse a preparazioni come i risotti per la sua consistenza non elevata e la sua scarsa collosità quindi per essere un prodotto completamente diverso dal riso Carnaroli.

Il processo era fittizio, reale invece era ed è l’annoso problema della tutela della proprietà intellettuale in cucina, ossia se sia tutelabile una ricetta dal diritto d’autore e se la stessa lo sia mediante un brevetto di invenzione e se la tutela si possa estendere anche all’impiattamento.

Si ricordi che le ricette di cucina, che – si ripete – non sono espressamente menzionate dalla legge del diritto d’autore quale opere d’ingegno, contengono testi regolativi cioè semplici, chiari precisi, caratterizzati da pochi aggettivi e molti termini tecnici, elencano operazioni che vogliono fornire istruzioni, il loro scopo è unicamente pratico, vale a dire eseguire la procedura nel rispetto dei tempi e in un ordine prestabilito, i verbi sono usati in maniera impersonale o all’infinito, esse si prefiggono unicamente di informare attraverso una spiegazione, per aumentare o modificare le conoscenze del lettore su un determinato argomento.

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 9763 del 10 luglio 2013, indicava quando una “ricetta” potesse essere considerata un’opera creativa e quindi oggetto di tutela.

Il caso portato alla sua attenzione riguardava un ricettario di cucina chiamato “Fatto in casa” Editrice Ponte delle Grazie, contenente tra le altre, delle ricette di produzione di salumi artigianali estratte dal sito web www.sossai.net, gestito e seguito da un appassionato di insaccati appunto che aveva nel corso di diversi anni sperimentato e scritto ricette per la produzione di salumi crudi e cotti.

Questi aveva scoperto nella pubblicazione incriminata le sue ricette e ricorreva in Tribunale per chiedere che le stesse venissero eliminate dal libro e gli fosse riconosciuto un risarcimento danni a carico degli autori che le avevano pubblicate.

Le convenute nel costituirsi riconoscevano che erano state copiate 18 ricette su 60 presenti sul sito del ricorrente e che le stesse comunque offrivano procedimenti e indicazioni noti che non c’era prova che potessero essere ricondotti alla paternità dell’attore.

Negavano in sostanza la tutelabilità di quelle ricette perché non presentavano – a loro dire – alcuna particolarità, in maniera apodittica perché non sostenuta da nessuna prova documentale.

Il Tribunale di Milano, in composizione collegiale, riconosceva invece la tutelabilità delle ricette nella loro forma espressiva6 non nel contenuto, in quanto quello che determina l’originalità di una ricetta è il risultato concreto dell’attività di selezione e ricerca delle materie prime e di quei passaggi per la produzione ritenuti fondamentali.

La tutela c’é allora quando la ricetta non consista nella semplice elencazione di ingredienti e passaggi ma quando ci sia una rielaborazione anche critica degli uni e degli altri, ossia delle materie prime scelte e dei passaggi rilevanti per la sua produzione.

Nel caso di specie, non si trattava di una elencazione schematica e ripetitiva ma di una rielaborazione critica appunto che era stata integralmente ripresa dal sito web e riportata nel libro, configurandosi così una contraffazione.

La tesi di controparte non poteva trovare accoglimento in quanto non erano stati rinvenuti quei testi dai quali la stessa riteneva che il ricorrente avesse estrapolato le notizie e poi nell’email allegata agli atti, era la stessa resistente che aveva affermato come fosse riuscita a trovare “moltissime notizie e ricette semplici ma nulla sulla preparazione casalinga dei salumi”, inoltre, nello stesso ricettario l’autrice del libro aveva elogiato la precisione e chiarezza dell’autore della ricetta postata sul sito web dicendo “ho consultato testi, ho provato a chiedere in giro ma di notizie chiare e precise come quelle di P.S. rinvenute sul suo sito non le ho trovare da nessuna parte”.

Sempre la ricorrente, nella stessa email, aveva dichiarato di “avere fatto un ‘copia e incolla’ delle ricette e dei consigli di P.S.

Pertanto, secondo il Collegio, vi era stato un utilizzo non autorizzato dei testi dell’attore in quanto c’era stata una sostanziale riproduzione di parti considerevoli ed essenziali dei testi originali con differenze di mero dettaglio che non consentivano di ritenere sussistente nemmeno una rielaborazione creativa dell’opera originale e richiamava la sentenza della Corte Cass. n. 20925/2005.

Quest’ultima aveva distinto la contraffazione dalla elaborazione creativa evidenziando come: la prima “consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo, ma del mascheramento della contraffazione, la seconda si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo”.

La ricetta può essere tutelata dal diritto d’autore se è un’opera originale e creativa e può essere registrata alla SIAE, è da escludere invece la registrazione e quindi la tutela autorale per quei piatti che appartengono alla tradizione e alla cultura del popolo italiano come gli spaghetti al pomodoro, la gricia, il risotto allo zafferano.

La ricetta poi può essere brevettata7 se abbia i tre requisiti della novità, attività inventiva e industrialità.8

Si parla di brevetto di prodotto se ha per oggetto un alimento, si parla invece di brevetto di procedimento se riguarda la ricetta quindi l’iter per arrivare a ottenere quel prodotto.

Perché sia brevettabile il prodotto alimentare deve essere nuovo, realizzato con un processo innovativo e industrialmente replicabile, pertanto, dovrà trattarsi di una preparazione prima non esistente oppure esistente ma prodotta con una modalità innovativa, che può consistere anche in un processo produttivo maggiormente sostenibile o in un packaging più semplice o comodo da aprire,9 ancora in una novità nell’impianto o macchina adoperata, sempre che non riguardi aspetti puramente estetici né sia facilmente prevedibile e quindi banale.

Infine, l’attività inventiva deve prevedere la risoluzione di un problema tecnico in modo non banale, come il caso in cui la ricetta renda un prodotto commestibile, oppure più digeribile, o preveda una migliore cottura o una tecnica differente o ancora riduca il contenuto di zuccheri, sono queste tutte ipotesi valide di risoluzione di un problema tecnico in modo non banale sicuramente requisito più complicato per ottenere il brevetto oltre all’applicabilità industriale e alla novità, dove il parametro di riferimento è ciò che è noto nell’esperienza comune per arrivare a quel risultato.

Se il cibo rappresenta una novità assoluta il brevetto dura 20 anni, se invece è il processo per ottenerlo che è migliorativo e/o innovativo rispetto al preesistente durerà 10 anni estensibili ad altri 10.

Dopo 18 mesi dall’ottenimento, il brevetto viene reso pubblico ma il suo sfruttamento economico viene tutelato per 10 o 20 anni.10

L’ambito geografico di tutela è ristretto allo Stato in cui è presentata la domanda.

Esiste anche la possibilità riconosciuta dal Patent Cooperation Treaty,11 che ha istituito una procedura che consente di “prenotare” il proprio brevetto in altri Stati che hanno aderito al trattato internazionale in parola, partendo da un’unica domanda.

C’é poi il brevetto europeo che si ottiene a seguito di una procedura unificata di deposito, esame e rilascio, che vede come Autorità competente l’Ufficio Europeo dei Brevetti12 (EPO).

Esso conferisce al titolare, una volta espletata la procedura di convalida nazionale nei Paesi indicati in domanda, i medesimi diritti che deriverebbero da un brevetto nazionale ottenuto in questi stessi Stati.

Il settore agro-alimentare, come ogni altro, è interessato da invenzioni brevettabili sia di prodotto che di processo.

In Italia e in pochi altri paesi europei esiste poi il cosiddetto “modello di utilità” (o piccola invenzione) che è una forma di tutela nei confronti di quegli oggetto preesistenti per i quali sia stata prevista una modalità di utilizzo più semplice o più facile, il prodotto viene “ritoccato”.

Dal punto di vista pratico-amministrativo il vantaggio rispetto al brevetto è che non ha bisogno di un esame sulla novità, perché l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) effettua una verifica di sussistenza dei soli requisiti formali non anche della novità.

È possibile depositare contemporaneamente la domanda sia per ottenere il brevetto che il modello di utilità, poi spetterà all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi verificare la sussistenza degli elementi perché possa essere concesso l’uno oppure l’altro.

È possibile, inoltre, convertire il modello di utilità in brevetto nel momento in cui l’interessato dimostri il possesso delle caratteristiche richieste dalla normativa.

Anche il packaging può essere oggetto di varie forme di tutela.

Gillo Dorfles13 ha scritto che il settore dell’imballaggio “pure essendo un settore misto che ha attinenze con quello della grafica e della pubblicità, rientra nel quadro del vero e proprio disegno industriale. Infatti l’imballaggio d’un prodotto può spesso costituire un esempio dei più interessanti per la ricerca di una forma tridimensionale capace di contenere un determinato oggetto in maniera opportuna: funzionale ed estetica insieme, mentre è portato spesso a risolvere un altro dei fatti decisivi della vendita: quello dell’autopubblicizzarsi del prodotto, in seguito al suo aspetto esterno.

Si precisa che, con questo termine14, non si intende solo l’imballaggio ma qualcosa di molto di più che ha la funzione di proteggere, conservare, informare, identificare e fare trovare facilmente il prodotto al consumatore, quindi assolve a una funzione di sicurezza alimentare, di comunicazione, marketing e informazione ed è definito dall’articolo 218 del Decreto Legislativo del 3 aprile 2006.15

Del packaging può essere tutelato in primis il design sia come opera d’ingegno, tramite il diritto d’autore, se è privo del carattere dell’invenzione, oppure brevettandolo16 quando invece rappresenti un’invenzione ossia offra una soluzione tecnica nuova e che possa essere replicabile quindi trovare applicazione nell’industria.

Interessante é il caso un po’ datato che in Israele ha visto nel 2018 Barilla citare in giudizio Rami Levi17, che è una delle più grandi catene di supermercati con politiche low-cost aggressive, grazie al ricorso a numerosi prodotti di private label venduti accanto a quelli noti.

Barilla ha chiesto al Tribunale distrettuale prima e alla Corte Suprema poi di vietare a Rami Levi la vendita delle confezioni di pasta e dei barattoli di sugo marchiati “Olla” una delle sue private label, perché a tal punto simili nel packaging ai propri da ingenerare confusione nei consumatori.

Barilla chiedeva la protezione in seguito al pass- off18ossia l’illecito civile commesso dalla catena di supermercati per il fatto di presentare i propri prodotti in maniera errata perché molto simili ai propri, ingenerando questo comportamento un impatto negativo sulla sua attività commerciale, danneggiandone l’avviamento, oppure determinando una perdita di fatturato a beneficio della private label o un danno da immagine per essere i prodotti venduti, di qualità inferiore alla propria.

Il Tribunale Distrettuale accolse la richiesta della Barilla per quanto concerne i pacchi di pasta, emanando un’ingiunzione restrittiva nei confronti di Rami Levi, perché la società italiana godeva di una tale popolarità in Israele da consentire ai consumatori di associare la forma, il colore delle confezioni a quel marchio e le piccole differenze presenti sulle confezioni a marchio “Olla” erano state intenzionalmente adottate per sfuggire a possibili reclami di violazione.

Il giudice di primo grado riconobbe la concorrenza sleale per le confezioni di pasta ma non lo stesso per i barattoli di sughi pronti perché disse che era abbastanza naturale che le etichette per il sugo della pasta raffigurassero pomodori, peperoncini e foglie di basilico.

Entrambe le società ricorsero alla Corte Suprema, che accolse l’appello di Barilla estendendo l’ingiunzione anche ai barattoli di salsa e rigettò integralmente quello di Rami Levi, sottolineando come

il fatto che quest’ultima avesse utilizzato packaging della Barilla, era indice del goodwill19 acquistato da quest’ultima sul mercato.

Inoltre, la copia degli elementi del design da parte di Rami Levi rafforzava l’idea che il prodotto e il packaging avessero acquisito fama e riconoscimento tra i consumatori, secondo la Corte: “Rami Levi ha chiaramente preso spunto dal packaging di Barilla mentre progettava il suo, approfittando della reputazione di Barilla per aumentare le proprie vendite, con una ragionevole probabilità di confusione del pubblico, che può essere indotto ad acquistare i prodotti del convenuto assumendo di acquistare quelli dell’attore a causa di questa similarità visiva.

Un’occhiata veloce ai prodotti non lascia spazio ad alcun dubbio, le scatole blu, la tonalità del colore, la loro forma, la finestra trasparente, l’ellissi rossa sono tutti elementi che conferiscono un’apparenza generale che chiaramente richiama il packaging della Barilla”.

Barilla ha chiesto tutela non delle singole componenti, il design, il pakaging ma del gestalt20 vale a dire dell’aspetto generale risultante dalla combinazione dei vari elementi, in linea con la giurisprudenza, la quale ha già ritenuto in passato che un prodotto caratterizzato da diversi elementi comuni combinati tra loro possano rappresentare un unico distinguibile e tutelabile.21

Quello della Barilla è un tipico esempio di look alike, letteralmente “simile a” è quel fenomeno di origine angloamericana che è conosciuto anche in Italia, dove si parla di imitazione servile, voluta, di un bene commercializzato per confondere e attirare i consumatori.

È fenomeno diffuso tra i beni di largo consumo, soprattutto destinati alla Grande Distribuzione Organizzata (GDO), come i biscotti, i dentifrici, i saponi, i cosmetici, gli articoli per l’igiene personale, questo perché l’acquisto nei supermercati é rapido e spesso per disattenzione, confusione o perché quello simile ricorda quel prodotto originale, il consumatore acquista l’uno piuttosto che l’altro.

Dal momento che l’ordinamento italiano non prevede una disciplina specifica per il look alike, si ricorre alla normativa sui marchi, in particolare a quelli di forma22, a quelli sui modelli e design23 nonché, molto spesso, alla concorrenza sleale24.

Si pensi ad esempio al caso Colussi contro Elledì,citata quest’ultima per l’imitazione dell’aspetto della confezione dei biscotti “Gran Turchese”.

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza risalente al 2000, riconobbe tutela alla Colussi intravvedendo un look alike indipendentemente dal rischio di confusione che ad avviso dei giudici non sussisteva, per il tentativo da parte di Elledì, di creare un’associazione inconscia tra i due prodotti e appropriarsi attraverso quel messaggio di positività associato dai consumatori al biscotto Gran Turchese, degli investimenti di Colussi.

Si parla nel caso di specie non di contraffazione del biscotto ma di imitazione delle componenti della confezione: non era illecito l’uso di una tazza di latte, frollini e il colore turchese sulla confezione di Elledì, perché si trattava di segni banali e descrittivi del prodotto, il punto critico era l’utilizzo di quegli elementi in quella composizione grafica che appariva sulla confezione, perché determinava una similitudine eccessiva rispetto al packaging dei biscotti Gran Turchese.

La confezione Colussi presenta, sulla facciata principale, in alto, per tutta l’estensione, la scritta [di colore] turchese gran turchese, con in un rettangolo giallo, sotto la prima parola, la scritta Colussi e sotto ancora, vi è la scritta il classico dorato frollino; similmente, la confezione della resistente presenta al centro in alto, in un quadrato con i bordi rossi, la scritta (pure con lettere aventi margini rossi) Elledì; sotto, per esteso, le parole Prima Colazione”(quest’ultima con maggiore rilievo dimensionale e grafico)”.

Due ulteriori elementi grafici di similitudine sono il colore turchese, presente in entrambe le confezioni in modo predominante e con le stesse sfumature “dall’alto verso il basso della confezione” e il disegno di una tazza turchese con del latte, entrambe posizionate in basso a destra, dove nel caso della Colussi “vi cadono quattro frollini, di cui uno, nell’intingersi ne increspa la superficie”, invece nella tazza Elledì “si vede intingersi un solo frollino, che pure increspa la superficie del latte”. Poi, in entrambi i casi, sulla sinistra della tazza “vi sono alcuni frollini alla rinfusa, in una prospettiva tridimensionale (vi è l’ombra) e leggermente obliqua (come se visti dall’alto): due nella confezione Colussi, sei in quella Elledì”.

L’ordinanza venne riformata in sede di reclamo.

Simile all’ordinanza del Tribunale di Napoli, quella del Tribunale Milano del 21 luglio 200425, che dichiarò il packaging dei tortellini “Grangusto” di Morder riprendere il complesso degli elementi che caratterizzavano la confezione del prodotto “Emiliane” Barilla.

Qualificò il comportamento della prima come “diretto ad introdurre elementi di confusione sul mercato”, e finalizzato ad “ottenere un agganciamento all’immagine dell’impresa concorrente”.

Altro caso26 ha riguardato la colla “Artiglio” della Wilnra S.a.s contro la “Super Colla Glue” della Furore S.a.s, a che importava in Italia una colla venduta in confezioni e tubetti identici a quelli della prima che chiese pertanto la condanna della seconda per concorrenza sleale e violazione del marchio di fatto costituito dal packaging.

Nonostante i formati con cui erano commercializzati i prodotti fossero diversi e i tappi dei tubetti avessero colori differenti, il Tribunale di Milano decise che il packaging dei prodotti contestati integrava un’imitazione pedissequa, in quanto le confezioni cartonate risultavano identiche in tutti i loro elementi, tranne la denominazione, che però era scritta con lo stesso colore e carattere.

Il Tribunale di Milano ha riconosciuto allora l’ipotesi di concorrenza sleale per imitazione servile e appropriazione dei pregi altrui, con anche il discredito dell’impresa concorrente, dato che il prodotto commercializzato dalla Furore S.a.s era qualitativamente inferiore alla colla Artiglio e che i consumatori, data la similarità delle confezioni, potevano essere indotti a ritenere che provenissero entrambi dallo stesso produttore

Ancora, nel 2023, Barilla ha citato le Aziende Tedesco e Sapori Artigianali per avere messo in commercio i biscotti “Amiconi”, “Gocciolotti” e “Maramao” sotto il marchio “Il borgo del Biscotto” che erano molto simili ai “Pan di Stelle”, “Gocciole” e “Abbracci” del Mulino Bianco.27

Il Tribunale di Brescia, con ordinanza del 15 gennaio 2024, ha ritenuto fondato il ricorso vietando la vendita dei biscotti sopra citata alla Tedesco, questa la motivazione: le confezioni presentavano “il medesimo colore giallo dello sfondo, ancorché di tonalità differenti; la medesima collocazione dell’immagine del biscotto nella parte anteriore sinistra della confezione, in associazione con immagini ulteriori nella parte destra arretrate in prospettiva, che riproducono gli stessi ingredienti o gli stessi colori degli ingredienti raffigurati nell’omologa immagine della confezione Barilla; lo stesso colore e la stessa collocazione delle scritte relative al nome del prodotto e alla sua descrizione mediante indicazione dell’ingrediente principale, con minime variazioni sul contenuto del claim”.28

Pur non producendo una confusione tra i prodotti, secondo il Tribunale di Brescia, l’illecito era “funzionale” ad attirare l’attenzione del consumatore richiamando l’immagine del prodotto più noto, in tal modo la Tedesco beneficiava degli investimenti pubblicitari fatti negli anni da parte della Barilla perché i propri prodotti acquistassero quella notorietà oggi conosciuta, configurandosi nella fattispecie, un’ipotesi di concorrenza sleale sanzionabile ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c.


1 Art. 1 Lda: “Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione1.

Sono altresì protetti i programmi per elaboratore come opere letterarie ai sensi della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche ratificata e resa esecutiva con legge 20 giugno 1978, n. 399, nonché le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore.”

2 Si consulti https://winenews.it/it/il-diritto-d-autore-in-cucina-gia-nel-510-a-c-la-legge_329941.

3 Il cosiddetto “Mock Trial Food and Design”, che vuol dire appunto processo simulato.

4 Si consulti https://www.messaggeroveneto.it/cronaca/copyright-sul-risotto-di-marchesi-al-processo-simulato-anche-ponti-oriyoapy.

5 Questa ricetta, insieme alle altre, sono tutelate dalla Fondazione dello chef, che ha scritto: “Molti dei piatti considerati storici del Maestro Gualtiero Marchesi – fra questi il Riso, oro e zafferano – sono oggetto di diritti di proprietà intellettuale […]. Detti piatti sono dotati di elevato potere distintivo svolgendo una chiara funzione di indicazione di provenienza da Gualtiero Marchesi. Qualsiasi riferimento e/o associazione non autorizzate ai piatti di Gualtiero Marchesi integra una violazione dei diritti di proprietà industriale sia sotto il profilo della disciplina dei marchi che diritto al nome”.

6 Essa comprendeva il linguaggio, l’esposizione degli elementi che costituivano i testi questo erano gli elementi innovativi e originali che dimostravano l’esistenza di un minimo apporto personale dell’autore.

7 Il brevetto riconosce un monopolio temporaneo su una invenzione in relazione a un territorio per il suo sfruttamento economico e dà la possibilità di dedicarsi alla sua applicazione mediante la produzione, importazione, esportazione, vendita, o attuazione del procedimento.

8 Ex art. 45 del Codice della Proprietà Industriale – CPI, sono brevettabili solo quelle idee che siano:

– nuove (non ricomprese nello “stato della tecnica” a livello mondiale);

– non ovvie (non banali per un tecnico medio del settore di riferimento);

– lecite;

– suscettibili di applicazione industriale (riproducibili “meccanicamente” da chiunque e non legate alla particolare competenza o perizia di un tecnico).

9 Si consulti sito dell’Ufficio Brevetti.

10 Si pensi al pandoro con la sua forma attuale è stato brevettato da Melegatti nel 1894 e dal 1914 è diventato di pubblico dominio.

11 Patent Cooperation Treaty (acronimo PCT) é il trattato internazionale di cooperazione in materia di brevetti sottoscritto il 19 giugno del 1970 a Washington. L’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (acronimo OMPI), con sede a Ginevra, vigila sulla sua osservanza oltre a essere competente per il deposito unificato di domande di brevetto valide in uno o più degli Stati aderenti al trattato (148 membri al 4 ottobre 2013).

12 È un’organizzazione intergovernativa con sede a Monaco di Baviera, nata il 7 ottobre 1977 sulla base della Convenzione di Monaco sul brevetto europeo firmata a Monaco di Baviera nel 1973.

13 DORFLES Gillo, Introduzione al disegno industriale, Einaudi, Torino, 1972, p. 31.

14 FERRARESI Mauro, Il packaging, oggetto e comunicazione, Franco Angeli, Milano, 1999. Egli definisce il packaging come una soglia semiotica, che da un lato si rivolge al prodotto per proteggerlo ed esaltarne le caratteristiche migliori e dall’altro si rivolge al consumatore, cercando di instaurare con esso un dialogo in quel brevissimo istante di tempo che si impiega per percorrere la corsia di un supermercato mentre si guardano distrattamente gli scaffali.

15 Art. 218 del D.L. del 03.04.2016: “il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere e a proteggere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, e ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo”.

16 Il brevetto è regolato dal D. Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30: è il cosiddetto Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della Legge 12 dicembre 2002, n. 273, entrato in vigore del decreto: 19-3-2005.

Art. 2 comma 2: “Sono oggetto di brevettazione le invenzioni, i modelli di utilità, le nuove varietà vegetali”.

Art. 2 comma 3: “Sono oggetto di registrazione i marchi, i disegni e modelli, le topografie dei prodotti a semiconduttori”.

17 Judgment of the Israeli Supreme Court in Request for Civil Appeal 1521/18 Chain of stores Rami Levi Shivuk HaShikma 2006 Ltd et al. v Barilla G e R Fratelli—SpA, 22 April 2018.

18 Il “pass-off” è un illecito civile o un illecito civile strettamente correlato al diritto dei marchi. Il “pass-off” si verifica quando un commerciante presenta in modo errato i propri beni o servizi come se fossero quelli di un altro commerciante, o viceversa.

19 Goodwill è il termine inglese che indica l’avviamento d’azienda, ovvero il valore aggiunto di un’azienda che va al di là del valore intrinseco (attività materiali più immateriali meno i debiti), esso rientra tra le voci contabili nel bilancio.

20 Gestalt, ovvero la capacità di dare una forma nell’atto percettivo originario secondo la teoria elaborata da Werhmeier , formata da una serie di semplici regole che dimostrano cosa concorre nel ricordare un logo e una di queste è proprio “la legge della vicinanza” secondo la quale tendiamo ad aggregare in un’unica sintesi o forma gli elementi che sono tra loro più vicini o che noi percepiamo come tali. Ancora, c’è la “legge della somiglianza” secondo la quale tendiamo ad associare gli elementi di un campo visivo che percepiamo come più simili tra loro. La somiglianza può riguardare la forma, la dimensione, il colore o la posizione.

21 COLLE Paola, Il fenomeno del Look-alike Packaging in Italia: tutela e giurisprudenza, in Giuricivile (ISSN 2532-201X), 8, Roma, 2018.

22 Sono disciplinati dall’articolo 7 all’articolo 28 del Codice della Proprietà Industriale.

23 Sono disciplinati dagli artt. da 31 a 44 del Codice della Proprietà Industriale.

24 Ai sensi dell’art. 2598 n. 2 del Codice Civile per concorrenza sleale per appropriazione di pregi, oppure secondo l’art. 2958 n. 3 c.c. per concorrenza sleale per contrarietà alla correttezza professionale.

25 Ordinanza Tribunale di Milano del 21 luglio 2004. ALVANINI Sara, Concorrenza sleale per look alike, in Diritto industriale, II, 2016, p. 200.

26 Tribunale di Milano del 17 luglio 2015. ALVANINI Sara, Concorrenza sleale per look alike, in Diritto industriale, II, 2016, p. 196.

27 Si consulti https://ilfattoalimentare.it/mulino-bianco-ennesimo-caso-gemelli-diversi.html.

28 Il claim è lo slogan.

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