Globalizzazione e sviluppo sostenibile: opportunità economiche e rischi ambientali

Introduzione

La globalizzazione, fenomeno che negli ultimi decenni ha trasformato in modo radicale le dinamiche economiche, sociali e politiche a livello internazionale, solleva questioni di grande rilievo e complessità.

Senza dubbio, tende a rappresentare un processo articolato, capace di incidere su molteplici settori, con conseguenze positive e negative che si intrecciano in un quadro di crescente interdipendenza tra gli Stati.

In questo contesto, è fondamentale interrogarsi su come tali dinamiche globali influiscano non solo sui mercati, ma anche sulla salvaguardia dell’ambiente e sulla promozione del principio multidimensionale1 dello sviluppo sostenibile.

La definizione giuridica di globalizzazione

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) definisce la globalizzazione come “un processo attraverso il quale mercati e produzioni nei diversi Paesi diventano sempre più interdipendenti, in virtù dello scambio di beni e servizi, e del movimento di capitali e tecnologie”.2Tuttavia, tale descrizione non rende pienamente giustizia alla complessità del fenomeno, che ha ormai assunto connotati ben più ampi, investendo questioni sociali, culturali e ambientali.

Dal punto di vista giuridico, la globalizzazione pone una sfida cruciale: la regolamentazione delle attività economiche non può più essere concepita unicamente entro i confini nazionali.

In ambito commerciale e finanziario, il diritto internazionale, nello scorrere dei decenni, ha cercato di rispondere con la creazione di organizzazioni come l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale.3

Tuttavia, la regolamentazione delle questioni ambientali, nell’ampio e dinamico contesto della globalizzazione, è più frammentata e finisce per dipendere dalla volontà degli Stati di aderire a trattati internazionali, come l’Accordo di Parigi sul clima del 2015.

Impatto della globalizzazione sull’ambiente

La globalizzazione ha indiscutibilmente contribuito a una significativa crescita economica su scala mondiale, con il Prodotto Interno Lordo globale che, tra il 1980 e il 2000, ha quasi triplicato il proprio valore reale.

Tuttavia, tale processo ha sollevato non poche criticità, alimentando il dibattito circa la necessità di disciplinare normativamente un sistema economico di mercato – non necessariamente di tipo pubblico – 4 sempre più slegato dai confini nazionali e apparentemente immune da controlli efficaci. In particolare, l’assenza di meccanismi di governance globale ha evidenziato la difficoltà di garantire un equo sviluppo economico e la tutela dell’ambiente.

In materia ambientale, l’espansione dei mercati globali ha portato a una pressione crescente sugli ecosistemi naturali. La liberalizzazione del commercio, con l’abbattimento delle barriere tariffarie e la riduzione delle restrizioni al commercio di materie prime, ha incentivato l’uso intensivo di risorse naturali.

I Paesi in via di sviluppo, spinti dalla necessità di accedere ai mercati internazionali, spesso trascurano le norme ambientali nel tentativo di attirare investimenti stranieri, con conseguenze disastrose, per l’ecosistema, come deforestazione, degrado del suolo e perdita di biodiversità.

Diritto ambientale internazionale e responsabilità degli Stati

La regolamentazione delle questioni ambientali su scala internazionale è complessa e spesso non sufficientemente vincolante.

Il diritto internazionale ambientale, rappresentato da trattati come l’Accordo di Parigi (2015) e il Protocollo di Kyoto (1997), si fonda su principi come la “responsabilità comune ma differenziata“, il che significa che ogni Stato ha l’obbligo di agire contro il cambiamento climatico, ma secondo le proprie capacità economiche e in linea con i propri contesti sociali.

Questo crea tensioni, soprattutto tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo, poiché i primi sono storicamente i maggiori inquinatori, mentre i secondi rischiano di subire le conseguenze ambientali senza avere gli stessi strumenti di intervento.

Una esemplare tecnica giuridica, di crescente rilevanza, è l’implementazione del principio del “chi inquina paga“. Questo principio, consolidato in diversi strumenti giuridici, attribuisce agli Stati e alle imprese la responsabilità per i danni ambientali causati dalle loro attività.

Tuttavia, l’efficacia di tali strumenti rimane limitata a causa della mancanza di un meccanismo di enforcement adeguato. Spesso, i tribunali nazionali non riescono a perseguire efficacemente le imprese multinazionali per violazioni ambientali commesse al di fuori del loro territorio.

Le sfide della governance globale

Uno dei punti centrali della discussione è la difficoltà di gestire un sistema economico sempre più globalizzato attraverso strumenti di regolamentazione tradizionali.

L’apertura dei mercati e la crescente mobilità dei capitali e delle tecnologie hanno infatti posto in crisi i modelli di governance basati sulla sovranità nazionale, evidenziando la necessità di un nuovo assetto istituzionale capace di affrontare le sfide poste dalla globalizzazione.

In tale contesto, un ruolo significativo è stato svolto dai movimenti no-global, che a partire dagli anni novanta hanno sollevato critiche profonde riguardo agli effetti negativi della globalizzazione.

Le proteste di Seattle del 19995, in occasione della Conferenza ministeriale dell’OMC, hanno rappresentato un punto di svolta nel dibattito pubblico. Tali movimenti hanno denunciato come lo sviluppo globale non regolamentato rischiasse di accentuare le disuguaglianze economiche e sociali, oltre a causare danni irreversibili all’ambiente.

Si è trattato di forme di robusto dissenso, travalicati in veri e propri scontri, che hanno anche portato alla ribalta la necessità di un intervento giuridico internazionale per gestire le esternalità negative della globalizzazione.

È emersa una crescente richiesta di “global governance“, cioè la creazione di istituzioni sovranazionali in grado di imporre norme vincolanti per la protezione dell’ambiente e il rispetto dei diritti umani nel contesto delle attività economiche globali.

Globalizzazione e crisi ambientale

Un aspetto cruciale e spesso sottovalutato del fenomeno della globalizzazione riguarda il suo impatto sull’ambiente.

L’intensificazione degli scambi commerciali e la liberalizzazione dei mercati hanno portato a un aumento esponenziale dello sfruttamento delle risorse naturali, spesso senza la necessaria attenzione agli effetti sul clima e sugli ecosistemi.

In particolare, i Paesi in via di sviluppo, spinti dalla necessità di accedere ai mercati internazionali e ottenere sovvenzioni da parte di istituzioni finanziarie globali come il FMI, si trovano frequentemente nella condizione di dover privilegiare le esportazioni di risorse naturali e agricole.

Tale dinamica ha portato a fenomeni quali deforestazione, degrado del suolo, perdita di biodiversità e aumento delle emissioni di gas serra.

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, con l’obiettivo n. 136, sottolinea l’importanza di “adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze“, evidenziando la necessità di un’azione globale condivisa e coordinata7.

Tuttavia, nonostante la crescente consapevolezza dell’urgenza di tali interventi, gli sforzi compiuti finora appaiono spesso insufficienti e frammentari.

Diritto internazionale e imprese multinazionali

Una delle sfide più grandi è rappresentata dalle imprese multinazionali, che operano in un contesto giuridico frammentato e non sufficientemente regolamentato.

Il diritto internazionale delle imprese non prevede obblighi stringenti in ordine alla responsabilità ambientale, lasciando ai singoli Stati il compito di legiferare.

Questo sistema si dimostra però inadeguato, poiché molte imprese riescono a eludere tali normative spostando le loro attività in Paesi con standard ambientali meno rigorosi.

Recentemente, si è discusso della possibilità di introdurre un trattato vincolante delle Nazioni Unite sulle imprese e i diritti umani, che potrebbe includere obblighi specifici in materia di protezione ambientale.

Tale strumento potrebbe rappresentare un importante passo avanti nel colmare le lacune giuridiche esistenti e creare un sistema più equo e sostenibile.

La regolamentazione della globalizzazione: sfida per il diritto internazionale

Alla luce di quanto esposto, emerge chiaramente la necessità di una regolamentazione adeguata e condivisa della globalizzazione, capace di garantire un equilibrio tra sviluppo economico e tutela ambientale.

Il diritto internazionale riveste un ruolo cruciale in tale contesto, in quanto strumento fondamentale per creare un sistema di regole che possa disciplinare i rapporti tra gli Stati e le imprese multinazionali, promuovendo politiche sostenibili e rispettose dei diritti sociali e ambientali.

Tuttavia, la costruzione di un sistema giuridico globale che sia in grado di regolamentare efficacemente i processi della globalizzazione non è priva di ostacoli.

In primis, vi è la questione della sovranità degli Stati, che spesso si oppongono all’idea di cedere parte della loro autonomia decisionale a istituzioni sovranazionali.

In secondo luogo, vi è la difficoltà di armonizzare interessi economici, politici e ambientali spesso divergenti, soprattutto tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo.

Un esempio di questo sforzo di armonizzazione può essere rinvenuto nelle clausole ambientali inserite negli accordi commerciali internazionali. Molti trattati di libero scambio recenti, come il Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA)8 tra Unione Europea e Canada, includono disposizioni che impongono il rispetto di norme ambientali e standard lavorativi.

Tuttavia, l’effettiva implementazione di tali clausole resta una questione aperta, e dipende, in concreto, dalla volontà politica degli Stati firmatari.

Conclusioni

Il sociologo e politologo Ralf Dahrendorf, nel suo Quadrare il cerchio (1995), di fronte all’imperante globalizzazione, descrive la difficoltà a tenere insieme i tre tasselli prevalenti della sua epoca: la crescita economica, la coesione sociale e la libertà politica.

Oggi “quadrare il cerchio” comporta ineludibilmente l’ulteriore incastro con l’imprescindibile tassello della sostenibilità ambientale.

In definitiva, la globalizzazione, pur offrendo notevoli opportunità di crescita economica e sviluppo, pone anche sfide complesse e inedite, soprattutto in relazione alla tutela ambientale e alla sostenibilità delle risorse naturali.

Il futuro del pianeta dipenderà dalla capacità degli Stati e delle istituzioni internazionali di trovare soluzioni innovative e condivise, che sappiano coniugare progresso economico e rispetto per l’ambiente.

Solo attraverso una regolamentazione efficace e una governance globale più equa sarà possibile evitare che la globalizzazione diventi un processo incontrollato e insostenibile, con conseguenze potenzialmente catastrofiche per l’intera umanità.

Tale processo richiede, dunque, un impegno congiunto non solo degli Stati, ma anche del settore privato, della società civile e delle istituzioni internazionali, che devono operare in sinergia per definire norme vincolanti, efficaci e universali, capaci di proteggere l’ambiente e garantire uno sviluppo sostenibile per le generazioni future.


1 La multidimensionalità del principio è una caratteristica emersa soprattutto durante la World Summit on Sustainable Development (WSSD) di Johannesburg del 2002. M. SILVESTRI, Sviluppo sostenibile: un problema di definizione, in Gentes, anno II, numero 2, Dicembre 2015, parla di multidimensionalità del principio riferendosi al “triangolo della sostenibilità ambientale come tutela dell’ecosistema, sostenibilità economica come crescita produttiva delle risorse e sociale come difesa dei diritti umani, lotta alla povertà, equità distributiva delle risorse e salvaguardia della salute. Lo sviluppo sostenibile è l’unica possibilità per realizzare una crescita tenendo conto sia degli aspetti economici, sociali che ambientali e per costituire una struttura sociale più equa nei confronti delle generazioni future”.

2 O. SCANDELLA, Il futuro oggi. Storie per orientarsi tra studi e lavoro, Franco Angeli, Milano, 2009, pag. 88.

3 Cfr. anche Z. BAUMAN, Introduzione, in Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Bari, 2017 secondo cui “la parola ‘globalizzazione’ è sulla bocca di tutti; è un mito, un’idea fascinosa, una sorta di chiave con la quale si vogliono aprire i misteri del presente e del futuro; pronunciarla è diventato di gran moda. Per alcuni, ‘globalizzazione’ vuol dire tutto ciò che siamo costretti a fare per ottenere la felicità; per altri, la globalizzazione è la causa stessa della nostra infelicità. Per tutti, comunque, la ‘globalizzazione’ significa l’ineluttabile destino del mondo, un processo irreversibile, e che, inoltre, ci coinvolge tutti alla stessa misura e allo stesso modo. Viviamo tutti all’interno della ‘globalizzazione’, ed ‘essere globalizzati’ vuol dire per ciascuno di noi, più o meno, la stessa cosa“.

4 M. R. FERRARESE, Mercati e globalizzazione. Gli incerti cammini del diritto, in Politica del diritto, Il Mulino, Bologna,1998.

5 Per circa sei mesi militari di diversa matrice, associazioni ambientaliste, studentesche, di difesa dei consumatori, sindacati e altre realtà locali americane, in collaborazione con attivisti di tutto il mondo, hanno preparato una gigantesca mobilitazione in occasione della Conferenza Ministeriale dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (in inglese World Trade Organization: WTO) che si sarebbe tenuta a Seattle. Scopo della Conferenza era la negoziazione di accordi per dare un’ulteriore spinta alla liberalizzazione del commercio in ogni settore della vita economica del pianeta. L’inizio di questa sessione di negoziati, denominata “Millenium Round”, era fissato per il 30 novembre 1999, l’obiettivo dichiarato della protesta era il blocco della Conferenza. Le azioni dirette e le manifestazioni che si sarebbero svolte a Seattle dovevano venir amplificate da una mobilitazione a livello internazionale; lo slogan che apriva la convocazione era: “Che la nostra resistenza sia transnazionale come il capitale” cosi si legge in AA.VV, La battaglia di Seattle. Voci, immagini e documenti dall’evento destinato a cambiare l ’agire politico del nuovo secolo, Comunicazioni antagonista edizioni, Firenze, 2000, pag. 7.

6 Obiettivo 13: Adottare misure urgenti per combattere i cambiamenti climatici e le loro conseguenze

13.1: Rafforzare in tutti i paesi la capacità di ripresa e di adattamento ai rischi legati al clima e ai disastri naturali

13.2: Integrare le misure di cambiamento climatico nelle politiche, strategie e pianificazione nazionali

13.3: Migliorare l’istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale per quanto riguarda la mitigazione del cambiamento climatico, l’adattamento, la riduzione dell’impatto e l’allerta tempestiva

13.a: Rendere effettivo l’impegno assunto dai partiti dei paesi sviluppati verso la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, che prevede la mobilizzazione – entro il 2020 – di 100 miliardi di dollari all’anno, provenienti da tutti i paesi aderenti all’impegno preso, da indirizzare ai bisogni dei paesi in via di sviluppo, in un contesto di azioni di mitigazione significative e di trasparenza nell’implementazione, e rendere pienamente operativo il prima possibile il Fondo Verde per il Clima attraverso la sua capitalizzazione

13.b: Promuovere meccanismi per aumentare la capacità effettiva di pianificazione e gestione di interventi inerenti al cambiamento climatico nei paesi meno sviluppati, nei piccoli stati insulari in via di sviluppo, con particolare attenzione a donne e giovani e alle comunità locali e marginali

7 Si veda, in questo senso, la riflessione di P. PRANCI, Fermare il cambiamento del clima: quanto costa? Possiamo permettercelo? Chi paga? in M. MIGLIAVACCA-L. RIGAMONTI (a cura di), Cambiamenti climatici. Un approccio interdisciplinare per capire un Pianeta in trasformazione, Il Mulino, Bologna, 2010.

8 È un accordo commerciale progressivo tra UE e Canada. È entrato in vigore provvisoriamente nel 2017, il che significa che ora si applica la maggior parte dell’accordo.

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