“È solo un gioco ma in pochi lo capiscono”: il filo spinato tra libertà artistica e reputazione personale

La recente sentenza della Corte di Cassazione ha condannato l’artista Fabri Fibra e Universal Music Italia al risarcimento di 70.000 euro a favore di Valerio Scanu per diffamazione ed ha dunque suscitato un acceso dibattito sul confine tra libertà artistica e tutela della reputazione personale

Nel brano “A me di te“, contenuto nell’album “Guerra e Pace” del 2013, il rapper aveva inserito versi ritenuti offensivi nei confronti del cantante sardo, con allusioni sessualmente esplicite e denigratorie.

La Suprema Corte ha confermato le decisioni dei precedenti gradi di giudizio, sottolineando che la libertà di espressione artistica, pur costituzionalmente garantita, non è illimitata e deve essere bilanciata con il diritto all’onore e alla reputazione altrui. In particolare, la Cassazione ha evidenziato come le espressioni utilizzate nel testo della canzone abbiano superato i limiti della “critica legittima”, configurandosi come un attacco personale gratuito e lesivo della dignità di Scanu.

Tuttavia, è opportuno considerare il contesto artistico e culturale in cui si inserisce l’opera di Fabri Fibra. Il rapper ha sempre fatto della provocazione e della critica sociale il fulcro della sua produzione musicale, utilizzando un linguaggio crudo e diretto per denunciare le contraddizioni della società e del mondo dello spettacolo. Nel caso specifico, le frasi incriminate erano inserite in un brano che, secondo l’autore, intendeva ironizzare su certi meccanismi dell’industria musicale e sui personaggi emersi dai talent show, senza un intento diffamatorio reale. La giurisprudenza italiana ha più volte riconosciuto che l’arte, soprattutto nelle sue forme più provocatorie come il rap, può ricorrere a espressioni forti e satiriche, purché non si traducano in attacchi personali gratuiti. In questo senso, la sentenza della Cassazione potrebbe essere interpretata come una limitazione eccessiva della libertà artistica, rischiando di inibire la creatività e la funzione critica dell’arte.

Nel rispetto della decisione della Suprema Corte e della tutela della dignità personale, è importante riflettere sul ruolo dell’arte come strumento di critica sociale e sulla necessità di garantire agli artisti spazi di espressione anche provocatori, senza che ciò sfoci automaticamente in sanzioni penali o civili. La libertà di espressione, pilastro fondamentale di una società democratica, deve essere salvaguardata anche quando si manifesta attraverso forme artistiche non convenzionali o scomode. Il conflitto tra diritto di satira e tutela della dignità personale, come emerso nella vicenda Fabri Fibra vs. Valerio Scanu, rappresenta uno snodo fondamentale del diritto dell’espressione, soprattutto nell’ambito della comunicazione artistica.

La satira, infatti, è “una delle forme più complesse e protette di libertà espressiva, essendo per sua natura esagerata, simbolica, paradossale e spesso volutamente offensiva”.

In ambito costituzionale, la libertà di manifestazione del pensiero è tutelata dall’art. 21 della Costituzione italiana, che garantisce espressamente a tutti il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Tuttavia, tale diritto incontra limiti, tanto impliciti quanto espliciti, derivanti da altri valori costituzionalmente rilevanti, tra cui il rispetto della dignità della persona (artt. 2 e 3 Cost.) e il diritto alla tutela dell’onore e della reputazione, garantito anche in sede civile dagli articoli 2043 e 2059 c.c. e in sede penale dall’art. 595 c.p. La satira trova un fondamento giurisprudenziale consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che ne ha precisato il perimetro.

La Cassazione ha chiarito che la satira gode di una tutela rafforzata in quanto espressione di critica sociale e politica che può avvalersi di deformazioni, alterazioni della realtà, allusioni e simbolismi non sempre legati a verità fattuale.

Essa però non può mai tradursi in una aggressione gratuita, pretestuosa o meramente insultante alla persona. In particolare, una Cassazione penale 2007, ha affermato che “la satira deve essere immune da intenti gratuitamente offensivi ed estranei al contesto critico” ha ribadito che la satira, pur potendo “intaccare la sensibilità dell’interessato”, non può mai degenerare in una lesione sproporzionata e gratuita della dignità personale, pena la configurabilità della responsabilità per diffamazione.

In ambito comunitario, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte ribadito il ruolo cruciale della libertà di espressione, tutelata dall’art. 10 CEDU, precisando d’altro canto che essa non è assoluta. La Corte di Strasburgo ha chiarito che, sebbene la libertà artistica possa spingersi fino all’uso di espressioni scioccanti, provocatorie o disturbanti (vedi CEDU, Handyside c. Regno Unito, 1976), essa cessa di essere tutelabile quando si trasforma in insulto personale non funzionale ad alcun contesto di dibattito pubblico.

Nel caso di Fabri Fibra, l’opera musicale si pone sul crinale tra satira e vilipendio, tra provocazione critica e attacco personale.

È opportuno interrogarsi se i versi incriminati potessero effettivamente contribuire a un dibattito pubblico rilevante oppure fossero destinati unicamente a ridicolizzare un personaggio pubblico attraverso allusioni sessuali e connotazioni offensive. Il bilanciamento operato dalla Cassazione ha ritenuto prevalente la tutela della dignità personale di Valerio Scanu rispetto alla libertà artistica del rapper, considerando sproporzionato e gratuitamente offensivo il contenuto del testo, anche in virtù della platea potenzialmente ampia a cui si rivolgeva l’opera musicale.

Tuttavia, si potrebbe argomentare che l’intervento giudiziario su espressioni artistiche come quelle di Fabri Fibra rischia di sfociare in una forma di censura culturale.

La funzione della satira, anche se urticante, è proprio quella di forzare il linguaggio per evidenziare contraddizioni, stereotipi e ipocrisie del sistema sociale, compresi quelli dell’industria musicale. Come osservato da autorevole dottrina, “la satira non è un giudizio, è una rappresentazione deformata che trova il suo senso proprio nel suo essere eccesso” L’accettazione pubblica di una tale forma d’arte implica la tolleranza verso l’esagerazione, la caricatura e l’offesa come strumenti simbolici di critica.

Se si accetta che i personaggi pubblici, in quanto tali, si espongono a un maggior grado di scrutinio e contestazione, è possibile sostenere che le frasi usate da Fabri Fibra rientrassero in una rappresentazione provocatoria di un certo modello storico culturale del rap, emblematico di un sistema mediatico criticato. Pur non potendo ignorare le esigenze di tutela della reputazione personale, occorre ribadire l’importanza di un bilanciamento che tenga conto della funzione sociale della libertà artistica e della necessità che essa non venga compressa da una giurisprudenza eccessivamente protettiva dell’onore soggettivo, specie quando l’offesa non è gratuita ma inserita in un contesto critico di più ampio respiro, anche se pungente.

La responsabilità dell’artista, in questo senso, non dovrebbe essere valutata solo sul piano della sensibilità soggettiva del destinatario, ma anche alla luce del contesto culturale, della finalità espressiva e della rilevanza sociale del messaggio artistico, per evitare che la libertà di pensiero venga sacrificata sull’altare della suscettibilità individuale.

La prosecuzione dell’analisi del caso Fabri Fibra vs. Valerio Scanu consente di affrontare un ulteriore nodo interpretativo: il principio di proporzionalità nel bilanciamento tra libertà di espressione e diritti della personalità. La dottrina e la giurisprudenza costituzionale hanno ampiamente chiarito che, qualora due diritti fondamentali vengano in conflitto — nel caso di specie, da un lato l’art. 21 della Costituzione e l’art. 10 CEDU, e dall’altro gli artt. 2 e 3 Cost., l’art. 8 CEDU e l’art. 595 c.p. nonché gli artt. 2043 e 2059 c.c. — è necessario procedere ad un bilanciamento ispirato al principio di proporzionalità e ragionevolezza.

Tale principio impone che il sacrificio di un diritto non sia maggiore di quanto strettamente necessario per la tutela dell’altro. Sul punto, si segnala l’importanza della sentenza della Corte costituzionale n. 84 del 1969, che ha sancito come la libertà di manifestazione del pensiero possa trovare limiti “solo ove sussista una precisa esigenza di tutela di altri valori costituzionalmente garantiti” e ha ribadito la centralità della proporzionalità tra diritto leso e diritto esercitato. In analogia, la giurisprudenza della Corte EDU (v. Von Hannover c. Germania, 2004 e Axel Springer AG c. Germania, 2012) ha enunciato cinque criteri per stabilire se una ingerenza nella libertà di espressione sia giustificata: il contributo dell’opera al dibattito di interesse generale, la notorietà della persona coinvolta, l’oggetto dell’articolo o della comunicazione, la condotta del soggetto leso, e il modo in cui l’informazione è stata ottenuta e presentata.

Nel contesto della musica rap, e in generale della cultura hip-hop, il linguaggio iperbolico e il sarcasmo esasperato sono componenti strutturali del genere. Si tratta, in molti casi, di una “estetica del dissenso” in cui l’attacco verbale, il cosiddetto “dissing”, rappresenta una forma di espressione simbolica, spesso codificata, e non un’aggressione personale nel senso tradizionale. L’intervento repressivo dello Stato in questo ambito può quindi apparire disallineato rispetto alla realtà culturale di riferimento, soprattutto se non si dimostra che vi sia stato un concreto nocumento alla dignità personale con effetti lesivi tangibili. Per quanto concerne la responsabilità dell’editore – in questo caso Universal Music Italia – merita attenzione.

Ai sensi dell’art. 2049 c.c., il soggetto che si avvale dell’opera altrui nell’ambito di un rapporto organizzativo o professionale risponde dei danni arrecati a terzi.

Tuttavia, nel settore artistico, la giurisprudenza è incline a adottare un’interpretazione restrittiva di tale responsabilità, soprattutto se il contenuto ritenuto lesivo rientra in un contesto di produzione autoriale e creativa che sfugge al controllo editoriale sistematico. Ciò si riallaccia anche al principio europeo di responsabilità proporzionata e al divieto di sanzioni eccessive, come stabilito in CEDU, Sunday Times c. Regno Unito (1979), in cui la Corte ha evidenziato la necessità che ogni restrizione alla libertà di espressione sia “necessaria in una società democratica”. Tornando al testo della canzone “A me di te”, le espressioni rivolte a Valerio Scanu – giudicate diffamatorie – fanno parte di una narrazione simbolica più ampia in cui l’artista critica l’industria musicale e l’omologazione dei talent show.

La domanda che rimane aperta è se tali espressioni, per quanto offensive, siano riconducibili a una funzione critica e quindi tutelabili come satira, oppure se rappresentino un mero attacco personale slegato da un contesto di interesse generale. La risposta della Cassazione ha privilegiato la seconda lettura, ma non è detto che tale approccio sia l’unico costituzionalmente legittimo. Altri ordinamenti (si pensi agli Stati Uniti, dove il primo emendamento garantisce un’ampissima protezione alla free speech, anche artistica) avrebbero probabilmente ritenuto la condotta di Fabri Fibra come coperta dalla libertà creativa. In definitiva, la vicenda si presta a una riflessione più ampia sulla “funzione sociale del dissenso” e sulla necessità che l’ordinamento giuridico non diventi strumento di conformismo culturale.

Se la dignità personale è certamente un bene primario, essa non può essere trasformata in uno scudo assoluto che impedisce qualunque forma di critica aspra, soprattutto quando rivolta a personaggi pubblici che, per il ruolo che svolgono, devono accettare un grado maggiore di esposizione al giudizio, anche satirico.

La giurisprudenza, pertanto, dovrebbe continuare a sviluppare strumenti di valutazione flessibili e multilivello, idonei a soppesare caso per caso il confine, sempre mobile, tra libertà di satira e offesa ingiustificata. La vicenda che ha contrapposto Fabri Fibra e Valerio Scanu si rivela emblematica per comprendere la tensione dialettica tra libertà artistica e tutela della reputazione, un terreno giuridico nel quale si intrecciano categorie costituzionali, principi di diritto civile, norme convenzionali europee e riflessioni culturali di fondo. La sentenza della Cassazione, pur formalmente ineccepibile, solleva interrogativi sostanziali sul rischio che un’applicazione rigorosa delle norme sulla diffamazione possa produrre un chilling effect sulla creatività artistica.

In particolare, quando il soggetto leso è un personaggio pubblico, è imprescindibile valutare la soglia di tolleranza che il ruolo stesso impone, come affermato più volte sia dalla giurisprudenza interna che da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per questo, occorre richiamarsi a criteri oggettivi e consolidati, come quelli espressi dalla Corte EDU, che in casi celebri come Lingens c. Austria (1986) ha stabilito che la libertà di espressione rappresenta uno dei fondamenti essenziali della società democratica, rilevando che “i limiti dell’accettabilità della critica sono più ampi nei confronti di un uomo politico che di un privato cittadino”.

Sebbene Scanu non sia un politico, il suo status di personaggio pubblico impone un ampliamento della soglia di accettabilità dell’offesa, specie quando questa assume una forma artistica. In chiave comparata, è utile confrontare l’approccio italiano con quello statunitense, dove il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce una protezione quasi assoluta alla libertà di parola, anche nei casi in cui l’espressione sia palesemente offensiva o provocatoria.

La Corte costituzionale tedesca ha stabilito, invece che, per quanto la dignità umana sia al vertice del sistema valoriale (art. 1 Grundgesetz), il bilanciamento con l’Art. 5 GG (libertà di espressione) deve essere effettuato tenendo conto del contesto comunicativo e del contributo dell’espressione al dibattito democratico (BVerfG, 1 BvR 2270/05).

Si tratta di un approccio che attribuisce centralità non solo al contenuto dell’offesa, ma anche al suo significato culturale e simbolico. In sintesi, la lezione che si può trarre da questo caso è duplice. Da un lato, la tutela della reputazione personale deve rimanere un presidio inalienabile, soprattutto contro abusi che travalicano la critica legittima per trasformarsi in aggressione. Dall’altro, è necessario che i giudici sappiano leggere le opere artistiche anche nel loro linguaggio proprio, accettando che la satira, specie quella musicale, possa ricorrere a codici comunicativi forti, taglienti, esagerati.

Solo un bilanciamento autentico, che non si limiti a un calcolo astratto ma si immerga nella cultura espressiva contemporanea, può garantire che la giustizia non diventi, paradossalmente, strumento di censura.

Si pensi al caso eclatante del rapper spagnolo Pablo Hasél i cui testi anti-establishment hanno paragonato i giudici ai nazisti e accusato la polizia di far uso di metodi di repressione violenti sopratutto verso i migranti, appellando l’ex sovrano Juan Carlos come “boss della mafia” e l’attuale re Felipe IV “tiranno”.

Alla sua condanna a nove mesi di reclusione, sono seguite proteste veementi a tutela della libertà artistica ed espressioni di solidarietà da parte di numerosi artisti tra cui Pedro Almodòvar e Javier Bardem in una lettera aperta alle autorità.

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