ABSTRACT: Il presente lavoro, partendo da una breve definizione della figura degli stakeholder all’interno delle imprese e degli Enti Pubblici, analizza la possibilità di individuare le Camere di Mediazione come stakeholder interni, alla luce dell’art. 5 sexies del D.lgs. n. 28/2010 novellato. Rileva in particolare l’utilità dello strumento della mediazione e la piena attuazione della normativa in materia di mediazione, anche nell’ambito della Pubblica Amministrazione, nell’ottica di consentire notevoli risparmi economico-finanziari, nonché importanti vantaggi, anche in ordine alla pianificazione e programmazione delle attività dell’Ente Pubblico.
SOMMARIO: 1. Definizione, individuazione e gestione degli stakeholder – 2. Art. 5-sexies: mediazione su clausola contrattuale o statutaria – 3. L’utilizzo della mediazione da parte della Pubblica Amministrazione ex art. 5, comma 1 bis, D. Lgs. n. 28/2010 – 4. Mediazione “demandata” dal Giudice – 5. La “paura” della firma e l’amministrazione “difensiva”.
1. Definizione, individuazione e gestione degli stakeholder
Il termine stakeholder mutuato dalla lingua inglese può essere tradotto come “parte interessata” o meglio ancora come “parte portatrice di interessi”. Il termine identifica chiunque abbia un interesse di qualche tipo in un progetto o in un’azienda.
Uno stakeholder è una persona, un gruppo, un’organizzazione con un interesse preciso nel processo decisionale e nelle attività di un’azienda di un’organizzazione di un progetto. Gli stakeholder possono essere già membri dell’organizzazione/azienda stessa oppure possono non avere alcuna affiliazione ufficiale. Possono avere un’influenza diretta o indiretta sulle attività o sui progetti di un’organizzazione, solitamente esprimono preoccupazioni e sono coinvolti nell’attività di un’organizzazione/azienda. Il loro supporto è spesso necessario per il successo aziendale e del progetto.
Ai fini della corretta identificazione di chi o cosa sia uno stakeholder sovviene la norma ISO 26000, che regola gli standard internazionali relativi alla responsabilità sociale di impresa, e detta tra le altre cose, i criteri per la corretta identificazione di uno Stakeholder.
Sulla base di questi criteri, si possono quindi far rientrare tra gli stakeholder i seguenti soggetti: Clienti, Dipendenti, Investitori, Creditori, Fornitori, Consiglio di amministrazione, Organizzazioni senza fini di lucro, Enti governativi. La lista non è esaustiva ma solo esemplificativa di quali siano i portatori di interessi.
Gli stakeholder possono essere interni (primari o chiave) ed esterni (secondari). Possono avere connessioni più o meno forti con l’azienda ed esprimono il loro interesse verso l’azienda in base alla loro tipologia; hanno interesse nel buon andamento dell’azienda per scopi occupazionali e ai fini del gettito fiscale; possono influenzare il buon andamento aziendale, in quanto possono anche avere un influenza diretta sui risultati economici dell’azienda.
Gli stakeholder interni (primari o chiave) sono quelli all’interno di un’azienda il cui interesse deriva dall’occupazione diretta, dalla proprietà o dagli investimenti, si tratta di parti interessate, interne di un’azienda o di un progetto e vengono definiti stakeholder primari o stakeholder chiave, perché hanno un interesse diretto e un ruolo importante nel successo dell’azienda o del progetto.
Un’azienda è un sistema costruito sulle relazioni.
Affinché un’azienda abbia successo, deve creare valore o essere un motore di valore per i proprietari o gli azionisti. Le componenti chiave nello stakeholder management includono: l’identificazione degli stakeholder, l’analisi degli stakeholder, la classificazione degli stakeholder, il coinvolgimento degli stakeholder.
Nella procedura di identificazione, analisi coinvolgimento degli stakeholder si tenterà l’approccio alla materia della mediazione civile post riforma Cartabia, alla luce dell’art. 5 sexies del D.Lgs. n. 28/2010, e della proponibilità e svolgimento della mediazione nei confronti della P.A.
L’art. 1, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n. 28/2010 definisce la mediazione come “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”.
Si tratta di uno strumento di Alternative Dispute Resolution (A.D.R.), che mira al raggiungimento di un accordo tra le parti, finalizzato a scongiurare il contenzioso.
La tematica dell’utilizzo, da parte della pubblica amministrazione, dell’istituto della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, è argomento di rilevante importanza, e, nonostante la sussistenza di alcuni profili di criticità, la mediazione rappresenta, anche per la P.A., un’importante opportunità, volta alla pacificazione sociale e ad evitare, laddove possibile, il procedimento giurisdizionale, con relativo risparmio di denaro da parte della collettività.
La Mediazione rappresenta per le aziende pubbliche, private e per la stessa PA un formidabile strumento di deflazione del contenzioso, e nello scenario ridisegnato dalla riforma Cartabia che ha radicalmente innovato il D.Lgs. n, 28/2010, la Camera di Mediazione, individuata ai sensi dell’art. 5 sexies, può diventare uno stakeholder, interno, o primario, nei confronti delle imprese e nei confronti della PA., in quanto fornitore di un servizio.
2. Art. 5-sexies: mediazione su clausola contrattuale o statutaria
L’art. 5 sexies del D.Lgs. n. 28/2010 stabilisce: “1. Quando il contratto, lo statuto o l’atto costitutivo dell’ente pubblico o privato prevedono una clausola di mediazione, l’esperimento della mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Se il tentativo di conciliazione non risulta esperito, il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte entro la prima udienza, provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 2. Si applica l’articolo 5, commi 4, 5 e 6. 2. La domanda di mediazione è presentata all’organismo indicato dalla clausola se iscritto nel registro ovvero, in mancanza, all’organismo individuato ai sensi dell’articolo 4, comma 1”.
La norma, come tutto l’impianto della riforma, ha lo scopo di incentivare il ricorso all’istituto della mediazione ampliandone l’applicazione anche attraverso il riconoscimento del potere di inserirla negli accordi di natura contrattuale o societaria, e stabilisce che quando il contratto, lo statuto o l’atto costitutivo di un ente pubblico o privato al loro interno contengono una clausola che prevede l’esperimento della mediazione, come tecnica di risoluzione delle controversie, la stessa deve intendersi come condizione di procedibilità della domanda.
Ne consegue che, se la mediazione prevista nello statuto o nel contratto resta lettera morta, perché le parti di fatto non la esperiscono, spetterà al Giudice, su eccezione di parte, da sollevarsi entro la prima udienza, rinviare quest’ultima a una data successiva a quella della scadenza del termine di cui all’articolo 6, che prevede la durata massima della mediazione di sei mesi prorogabili di altri tre.
Se la mediazione è obbligatoria o è demandata dal Giudice, la proroga è consentita solo una volta per ulteriori tre mesi.
L’ultima disposizione del nuovo art. 5-sexies prevede inoltre l’applicazione dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 5 come modificato dalla riforma.
Ne consegue che, anche in questo caso, visto che la mediazione prevista dalla clausola contrattuale, statutaria o dall’atto costitutivo è condizione di procedibilità della domanda, questa, al pari dei casi in cui la stessa è condizione di procedibilità prevista dalla legge, si considera avverata anche se il primo incontro tra le parti davanti al mediatore si conclude senza l’accordo.
Non solo, lo svolgimento della mediazione civile e commerciale prevista da clausole statutarie o contrattuali non è di ostacolo alla concessione di provvedimenti cautelari, anche di tipo urgente così come non preclude la trascrivibilità.
Escluse infine le previsioni contenute dal comma 1 dell’art. 5 e nell’art. 5 quater alla mediazione contrattuale o statutaria.
L’art. 5-sexies, per quanto riguarda la competenza dell’organismo di mediazione, riconosce alle parti la possibilità di sceglierne uno a loro piacere, ovviamente a condizione che lo stesso venga indicato nella clausola contrattuale o statutaria e che risulti iscritto nel Registro degli organismi di mediazione.
Se poi le parti omettono questa indicazione specifica dell’Organismo, interviene la legge a supplire a questa lacuna, prevedendo l’obbligo delle parti di rivolgersi a quello indicato dall’art. 4 comma 1, ossia all’organismo che si trova nel luogo del giudice competente territorialmente in relazione alla controversia.
La facoltà concessa alle parti di scegliere un Organismo di Mediazione a loro piacere, ovviamente a condizione che lo stesso venga indicato nella clausola contrattuale o statutaria, determina che l’Organismo così indicato diventa uno stakeholder, un fornitore di servizi con un interesse preciso nel processo decisionale e nelle attività dell’azienda.
In quanto fornitore di un servizio, l’interesse dell’Organismo di Mediazione sarà quello di essere indicato come stakeholder nei contratti e di mettere a disposizione degli imprenditori e della PA mediatori capaci di fornire soluzioni alternative al contenzioso, a vantaggio, in termini di tempi e di costi, delle aziende, della P.A., del privato cittadino.
3. L’utilizzo della mediazione da parte della Pubblica Amministrazione ex art. 5, comma 1 bis, D. Lgs. n. 28/2010
La normativa in materia non prevede un’eccezione per la p.a. riguardo all’obbligatorietà della conciliazione nelle materie di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010. Per tale ragione, può affermarsi che la suddetta disciplina trovi applicazione anche in riferimento al settore pubblico.
In particolare, la Circolare n. 9 del 10.08.2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica fornisce le Linee Guida per le PP.AA. di cui all’art. 1, comma 2, D.lgs. n. 165/2001, in materia di mediazione nelle controversie civili e commerciali.
Come precisato nella Premessa di tale Circolare (e conformemente a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, della Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21.05.2008), rientrano nel novero delle controversie disciplinate dal D.Lgs. n. 28/2010 esclusivamente quelle che implichino la responsabilità della P.A. per atti di natura non autoritativa.
Va precisato che, ai sensi dell’art. 3 della Circolare, resta ferma l’applicabilità della disciplina speciale in materia di conciliazione nelle controversie di lavoro di cui all’art. 410 c.p.c., come sostituito dall’art. 31, co. 1, L. n. 183/2010, relativo anche alle controversie inerenti ai rapporti di lavoro alle dipendenze della PA.
È fatta salva, inoltre, ai sensi del medesimo art. 3, la disciplina concernente le controversie sull’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, ai sensi della L. n. 89/2001 (Legge Pinto), in quanto il potere giurisdizionale rientra nell’esercizio dell’attività amministrativa di natura autoritativa.
L’obbligatorietà dell’istituto della mediazione civile e commerciale da parte della PA trova conferma, altresì, in numerose pronunce giurisprudenziali. In particolare, si veda tra gli altri, quanto precisato dal Tribunale di Roma, in data 10/03/2016.1
Nella pratica si è registrato un atteggiamento spesso prudente, da parte della PA, nei confronti della mediazione civile e commerciale, probabilmente dovuto al timore, da parte dei pubblici dipendenti ed amministratori, di dover, eventualmente, rispondere di danno erariale (cosiddetta amministrazione difensiva).
Tuttavia, occorre considerare che, qualora la PA non utilizzi l’istituto della mediazione, la spesa pubblica potrebbe rivelarsi maggiore, laddove risulti la responsabilità ab origine dell’amministrazione.
Si pensi, in particolare, a quanto previsto dall’art. 8, comma 4 bis, del D.lgs. n. 28/2010, in virtù del quale, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, ai sensi dell’art. 116 c.p.c.
Inoltre, il Giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, non abbia partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento, all’entrata del bilancio dello Stato, di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Senza dimenticare quanto previsto dall’art. 96 c.p.c., in materia di responsabilità aggravata, secondo cui, qualora risulti che la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni. Inoltre, in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ex art. 91 c.p.c., il Giudice, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente anche al pagamento, a favore della controparte, di una somma determinata secondo equità.
Oltre a queste considerazioni, non va taciuto che attraverso l’uso della mediazione, anche il cittadino è maggiormente tutelato, in quanto gli viene data la possibilità di vedere, eventualmente, riconosciuto un proprio diritto in tempi ben più brevi rispetto a quelli relativi ai tre gradi di giudizio. La qual cosa, incide positivamente anche sulla qualità della vita dell’utente, al quale ne deriva un vantaggio dato dal minore stress determinato dal venir meno della conflittualità.
Dal punto di vista della PA, va considerato che l’entità del contenzioso e la sua antieconomicità, in termini di tempi e di costi, ha dei riflessi negativi anche sulla pianificazione e programmazione delle attività degli enti pubblici.
Nella pratica, infatti, gli amministratori degli enti pubblici sono, spesso, costretti ad effettuare riconoscimenti di debiti fuori bilancio che, in numerosi casi, derivano da sentenze sfavorevoli per l’ente.
Tuttavia, non va sottaciuto che alcuni profili dell’applicabilità della normativa in materia di mediazione civile e commerciale alla PA appaiono, tuttora, oscuri.
In particolare, l’art. 5, lett. a), della Circolare n. 9 del 10.08.2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica, precisa che la procedura di mediazione rientra tra quelle non riconducibili alla tutela legale contenziosa in senso stretto.
Pertanto, l’intervento dell’Avvocatura dello Stato non è previsto, qualora l’Amministrazione compaia dinanzi ad un organismo di mediazione.
Solo in casi assolutamente eccezionali, giustificati dalla particolare rilevanza della potenziale controversia, l’Avvocatura dello Stato, a fronte della richiesta avanzata dall’amministrazione interessata, valuta se intervenire nella procedura di mediazione, “in ogni caso non sostituendo ma affiancando il rappresentante dell’amministrazione”.
Questa previsione è stata ritenuta da alcuni in contrasto con quella relativa all’obbligatorietà dell’assistenza dell’Avvocato, introdotta dalla L. n. 98/2013 (che ha così modificato l’art. 8, co. 1, D.Lgs. n. 28/2010), qualora l’Ente pubblico si presenti innanzi all’Organismo di mediazione.2 Tuttavia, come si dirà nelle conclusioni, il contrasto è solo apparente.
A conferma dell’importanza e della utilità dello strumento della mediazione nei rapporti con la PA, si tenga conto del fatto che l’accordo sottoscritto in mediazione, dalle parti e dagli Avvocati costituisce titolo esecutivo (ex art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010).
Per questi motivi, l’utilizzo dell’istituto della mediazione da parte della PA si rivela comunque di fondamentale importanza, nelle ipotesi nelle quali sia previsto come condizione di procedibilità, e in tutte le altre ipotesi in cui la PA è coinvolta in una controversia.
Rientra nella discrezionalità della PA, infatti, la scelta di inserire, nei propri contratti (ad es., di appalto o di somministrazione), clausole di mediazione, e art. 5 sexies del D.Lgs. n. 28/2010.
In tutte le ipotesi in cui la mediazione avvenga nella fase precontenziosa, la stessa presenta particolari vantaggi, specialmente da un punto di vista economico e di pacificazione sociale.
4. Mediazione “demandata” dal Giudice
Lo strumento della mediazione si rivela utile anche in ipotesi di mediazione “demandata” dal Giudice (o ex officio judicis), di cui all’art. 5 quater, D.Lgs. n. 28/2010, cioè in un momento in cui il processo sia già stato instaurato.
All’uopo si rappresenta che il “Decreto del Fare”3 ha introdotto, nel nostro ordinamento giuridico, la mediazione “demandata” obbligatoria, promossa dal Giudice.
Orbene, così come nel caso di mediazione obbligatoria nelle materie espressamente elencate dal Legislatore, anche qualora non venga avviata la mediazione disposta dal Giudice è prevista la sanzione dell’improcedibilità della domanda giudiziale; inoltre il Giudice può applicare l’art. 5 quater, D.Lgs. n. 28/2010, anche in ordine a materie non previste dalla legge come obbligatorie.
Nella mediazione demandata, la valutazione relativa all’opportunità ed al momento in cui la mediazione debba essere effettuata, è lasciata al Giudice, il quale, solitamente, nella prassi, “invita” le parti alla mediazione successivamente al deposito della relazione del CTU.
Rispetto alla normativa previgente, che prevedeva un mero “invito” da parte del giudice (cosiddetta mediazione delegata) alle parti (le quali potevano, quindi, rifiutare), attualmente, se il giudice “demanda”, le parti sono obbligate a tentare la mediazione.4
Per questi motivi, anche in ipotesi di mediazione demandata, la PA ed il cittadino pervengono in tempi più brevi ad una risoluzione della controversia, con relativi risparmi economici ed una minor durata della conflittualità sociale.5
5. La “paura” della firma e l’amministrazione “difensiva”
L’utilizzo dell’istituto della mediazione da parte dei pubblici dipendenti ed amministratori è stato, spesso, frenato dalla cosiddetta “paura della firma“, cioè dal timore di incorrere in responsabilità (in particolare, amministrativo-erariale) a causa di comportamenti colposi.
All’uopo va richiamata la riforma apportata dalla L. 639/1996 all’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994, che aveva limitato la responsabilità amministrativa dei pubblici dipendenti che provochino danni all’Erario alle sole condotte caratterizzate da “dolo o colpa grave”.
Tale previsione costituiva una deroga al principio generale della responsabilità per “dolo o colpa” (che comprende, appunto, anche la colpa lieve).
Successivamente, il Decreto Semplificazioni ha, ulteriormente, modificato la normativa, aderendo ad una tesi minoritaria emersa nella giurisprudenza contabile. In particolare, l’art. 21, comma 1, del D.L. n. 76/2020 ha integrato il disposto dell’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994, specificando che “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, oltre alla volontarietà della condotta antidoverosa.
Pertanto, l’elemento soggettivo del dolo deve essere riferito all’evento dannoso in chiave penalistica (art. 43 c.p.) e non in chiave civilistica (c.d. dolo contrattuale o in adimplendo).
Inoltre, il capoverso dell’art. 21 del D.L. n. 76/2020, contiene una disposizione transitoria, in virtù della quale, fino al 31.07.2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Magistratura contabile in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità viene limitata esclusivamente al dolo in relazione alle condotte commissive ma non anche in ordine alle condotte omissive.
L’introduzione di tale norma non è stata esente da critiche, in quanto, sostanzialmente, appresta una tutela maggiormente efficace nei confronti dei dipendenti ed amministratori pubblici che abbiano agito con grave superficialità e sanziona, di fatto, coloro che, invece, siano semplicemente rimasti inerti.6
6. Conclusioni
Appurato che l’istituto della mediazione civile e commerciale risulta applicabile anche alla PA, si può validamente ritenere che la mediazione può essere utilizzata non soltanto nelle materie espressamente indicate dal Legislatore, ovvero nei casi in cui la stessa costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale, bensì anche nelle materie non indicate, qualora la PA, come anche l’impresa privata, inserisca, all’interno dei contratti da essa stessa stipulati, la c.d. clausola di mediazione.
In entrambe le ipotesi, l’istituto della mediazione si rivela particolarmente utile, sia per la PA che per i privati, in quanto valido strumento deflattivo del contenzioso e, conseguentemente, idoneo ad una più rapida pacificazione sociale e ad un risparmio economico a vantaggio di entrambe le parti.
L’istituto della mediazione si rivela un valido strumento, altresì, in ipotesi di mediazione “demandata” dal Giudice, seppure in minor misura rispetto ai casi testé descritti (di precontenzioso), in quanto, nel primo caso, il risultato viene raggiunto in un momento in cui la controversia è già pendente innanzi al Tribunale.
Per quanto riguarda, invece, la previsione della Circolare del 2012, in virtù della quale, in determinati casi, l’Avvocatura di Stato interviene nel procedimento di mediazione “non sostituendo ma affiancando” il rappresentante della PA.
Orbene, se si considera che il legislatore ha voluto prevedere una maggiore e più specializzata assistenza giuridica nella procedura di mediazione, al fine di evitare che le parti subiscano “irreversibili pregiudizi […] dalla non coincidenza degli elementi loro offerti” da mediatori non giuristi, rispetto a quelli che sarebbero stati evocati nel successivo giudizio, si comprende che il ruolo dell’Avvocatura di Stato (come indicato nella Circolare del 2012) è perfettamente in linea con il ruolo attribuito all’Avvocato in mediazione.
Con ciò implicitamente riconoscendo anche alla mediazione un ruolo che, in quanto alternativo al processo, non può prescindere dal diritto e dalla sua tutela l’Avvocato che assume la difesa della parte in giudizio, così come l’Avvocato che assiste la parte in Mediazione, è soggetto al CDF, perché è diversa la difesa, ma pur sempre di difesa si tratta.
L’Avvocato che assiste la parte in Mediazione è chiamato a svolgere un ruolo a garanzia della regolarità e validità della mediazione, nonché verificare che l’accordo sia immune da vizi.
L’Avvocato che assiste la parte in Mediazione, nei confronti del proprio assistito, ha la responsabilità di verificare la conformità dell’accordo alle Norme Imperative e all’Ordine Pubblico, e di verificare che l’accordo sia giuridicamente valido. L’Avvocato che assiste la parte in mediazione, ha anche la responsabilità di verificare che l’accordo possa assolvere alla funzione di titolo esecutivo, ed ha l’obbligo di munirsi di adeguata procura alla mediazione, posto che, in difetto di essa, la mediazione e qualsiasi eventuale accordo, sarebbe suscettibile di impugnazione.
A tale profilo di responsabilità, è connesso l’ulteriore obbligo, di avere contezza della differenza esistente, e rimarcata anche dalla Suprema Corte, tra la procura alla lite e la procura alla mediazione, così come dei relativi obblighi di forma.
Questo ruolo è perfettamente in linea con quello che la Circolare del 2012 stabilisce, riguardo all’Avvocatura di Stato.
Sarebbe auspicabile che le PA si dotassero di mediatori specializzati, interni od esterni alla propria dotazione organica (che diventerebbero degli stakeholder della PA), e favorissero l’uso, dell’istituto della mediazione, anche attraverso la procedimentalizzazione dei percorsi di mediazione.
Così ad esempio, la presenza del Funzionario in sede di mediazione potrebbe essere preceduta dal rilascio di un parere tecnico (cosiddetta discrezionalità tecnica), da parte dell’Avvocatura che esprima un giudizio prognostico circa l’esito del contenzioso e la relativa durata.
Tenendo conto del parere tecnico, il responsabile dell’Ente pubblico indicherebbe al Funzionario (delegato a seguire il procedimento di mediazione) i limiti entro cui negoziare.
Potrebbe, infine, rivelarsi una valida opportunità, a seconda della fattispecie concreta, accettare o proporre la nomina di un consulente tecnico in mediazione (CTM), così come previsto dal D.Lgs. n. 28/2010.
Da ultimo, ma non per importanza, giova osservare che la piena attuazione della normativa in materia di mediazione anche nell’ambito della Pubblica Amministrazione, consentendo notevoli risparmi economico-finanziari, presenterebbe importanti vantaggi anche in ordine alla pianificazione e programmazione delle attività dell’Ente Pubblico.
1 “La legge, nel disciplinare la mediazione, sia dal punto di vista attivo che passivo, non fa alcuna eccezione per quanto riguarda l’ente pubblico: la lettera e la sostanza della normativa sulla mediazione va nella direzione del raggiungimento di accordi conciliativi, senza alcuna eccezione soggettiva. Le pp.aa., pertanto, hanno, in subjecta materia, gli stessi oneri ed obblighi di qualsiasi altro soggetto”.
Conformemente: la sent. n. 25218/2015 del 17.12.2015, nonché le ordinanze del 19.02.2016 e del 02.03.2020, del Tribunale di Roma. Ancora in senso conforme la sent. n. 2719 del 23.07.2013 della Corte dei Conti, Sez. Giurisdizionale per la Regione Siciliana.
2 Si vedano, in tal senso, IZZO Filippo, Brevi note in tema di pubblica amministrazione, transazione, mediazione civile e commerciale (Nota a sentenza n. 2719/2013, Corte Conti, Sez. Giurisdiz. per la Regione Siciliana), in Mondo ADR, 13.11.2023; SPINA Giulio, Mediazione civile, in Altalex, 04.03.2021; SPINA Giulio, Mediazione obbligatoria, in Altalex, 14.01.2021.
3 In particolare, l’art. 84, comma 1, lett. c), del D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 09/08/2013, n. 98.
4 In tal senso, PIZZIGALLO Francesco, La pubblica amministrazione e la mediazione demandata e non, in Diritto.it, 11.12.2019; BUFFONE Giuseppe, La mediazione demandata o disposta dal giudice come sistema omeostatico del processo civile: il progetto dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, in Il Caso, 2014.
5 In merito, si rivela interessante e condivisibile il contenuto dell’ordinanza del 10.03.2021, Tribunale di Roma, Giudice Estensore Dott. Massimo Moriconi, secondo la quale “[…] la partecipazione al procedimento di mediazione demandata è obbligatoria [anche per la p.a., n.d.r.] e […] non è giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione e ad un tentativo serio e fattivo di accordo. Neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in danno erariale a seguito della conciliazione. […] Fermo restando che, proprio al fine di rendere trasparente l’accordo e le ragioni che lo sorreggono, è opportuno procedimentalizzare, a monte, la condotta del funzionario pubblico […] che […] deve concordare con chi ha il potere dispositivo del diritto oggetto di causa, e previa la debita istruttoria, perimetri oggettivi all’interno dei quali poter condurre le trattative. Con conseguente esclusione della responsabilità, salvo colpa grave o dolo”.
6 Redazione Altalex, Decreto Semplificazioni: le modifiche alla responsabilità erariale, in Altalex, 27.07.2020, (articolo offerto da Leggi d’Italia P.A. – Il Quotidiano per la P.A.). Inoltre, appare interessante richiamare quanto osservato dal Dott. Paolo Evengelista, Procuratore Regionale della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Veneto, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2021: “La scelta legislativa di limitare o escludere la responsabilità per colpa grave ovvero per danni cagionati da grave imprudenza, negligenza e imperizia di amministratori e/o dipendenti pubblici, comporterà, già nell’immediato, ma soprattutto se protratta nel tempo, il rischio concreto di un complessivo abbassamento della soglia di “attenzione amministrativa” per una gestione oculata delle risorse pubbliche”.
Mariacristina Tammaro