La tassazione delle opere d’arte

Le opere d’arte1 e i beni da collezione2 non sono più considerati soltanto per il loro valore artistico, estetico ed emozionale, ma anche quali strumenti adoperati per diversificare il portafoglio di investimento.3

Si tratta di beni di cui spesso non si avrà la fruizione materiale, perché non più visti come oggetti “di consumo” ma nell’ottica della differenziazione e riduzione del rischio finanziario4, in tal modo consentono di coniugare la passione estetico-culturale con la maggiore redditività che sono capaci di conseguire rispetto a beni e attività tradizionali.

Si parla di “art funds5, cioè di fondi di investimento in arte6, scelta che, nulla o poco, ha a che vedere con la passione per l’arte, atteso che tale soluzione non è affatto edonistica ma puramente finanziaria e sono i gestori dei fondi a selezionare le singole opere che entrano a farne parte.

Che la perfomance – nel lungo periodo – della capitalizzazione in arte e nei beni da collezionare sia migliore rispetto a quella di altri fondi, lo ha dimostrato Art & Finance7: dal 2003 gli indici di mercato relativi all’arte e ai beni da collezione sono maggiori rispetto all’indice MSCI world.8

Tornando all’attualità, concluso il 2024, si può riscontrare una flessione e un ridimensionamento del mercato dell’arte.

In Italia, paragonando il fenomeno agli anni post pandemia9, si nota un leggero miglioramento10, laddove a livello globale si è assistito a una riduzione del 28% che ha interessato le fasce alte, a causa dell’incertezza geopolitica, con un incremento della partecipazione di coloro che appartengono alla fascia media.

Se, da un lato, però c’è un aumento delle transazioni nella fascia medio-bassa, il numero dei pezzi acquistati è sì maggiore, ma con un miglior rapporto qualità-prezzo, ossia si realizza l’acquisto di un numero maggiore di oggetti a prezzi più contenuti11 rispetto al passato.

Osservando la tipologia, si può affermare che è aumentata la categoria del Luxury Fashion12, mentre la modalità prescelta per le transazioni vede privilegiata la trattativa privata, perché pare risponda meglio alle esigenze dei clienti.

Platea emergente è quella dei collezionisti provenienti dall’Europa dell’Est, dall’India e dall’Estremo Oriente.13

Si evidenzia come il T.U. sui beni culturali escluda espressamente dalla suddetta categoria, le opere degli autori viventi: “non rientrano nella disciplina del T.U. le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquant’anni”.14

Il motivo va ricercato nella funzione dell’ordinamento che inizialmente era principalmente quella di tutelare, più che di valorizzare15, i beni16 culturali17, attraverso l’apposizione di vincoli alla loro conservazione e vendita, con la previsione ad esempio di comunicazioni, controlli incrociati, et similia.

Si precisa che, quando si parla di bene culturale18, non si fa riferimento all’oggetto materiale ma al valore di natura culturale di cui esso è portatore, a cui si può aggiungere un autonomo valore economico, monetizzabile.19

Vi possono essere proprietà che vedono sussistere in capo a soggetti privati e soggetti pubblici la titolarità di situazioni giuridiche soggettive collegate al diritto di proprietà che possono in linea teorica confliggere e che, per questo, necessitano di un’attività di coordinamento.20

Fino agli anni Novanta del 1900, per le caratteristiche dei beni cultuali, si era dato vita a un regime giuridico specializzato, indipendente e dalla proprietà pubblica e dalla proprietà privata: formalmente erano beni in capo allo Stato o ad altri enti pubblici, inseriti tra quelli demaniali e quindi non commerciabili, il che rendeva impossibile calcolarne un valore finanziario.

Con la conseguenza che non era facile stabilirne il valore nel momento in cui veniva redatto il bilancio pubblico dello Stato e i proprietari non potevano utilizzarli.

Tutto ciò ha portato attraverso quella che Nivarra21 ha definito la privatizzazione di seconda generazione, ossia “il passaggio sotto la sovranità del mercato di beni che, tradizionalmente venivano in considerazione più per il loro valore d’uso che per il loro valore di scambio”, alla nozione di “beni comuni”.22

Questo ha alla base l’idea che, dinanzi alla crisi finanziaria e ai processi di globalizzazione, i beni culturali siano delle risorse.

Essi vanno dunque considerati come risorse collettive di cui può essere utile sviluppare forme di valorizzazione alternative alla sola privatizzazione, consistenti anche nella possibilità di una gestione auto-organizzata di tali beni da parte di una collettività individuata ricostituendo il legame tra loro e le comunità di riferimento con una gestione “non già negoziale, o volontaria, ma legale e necessaria”.23

La ragione allora di escludere dalla nozione di beni culturali le opere degli artisti viventi avrebbe come scopo, quello di evitare limitazioni al loro sfruttamento economico in quanto vorrebbe dire sottrarle alla messa in commercio.

Basti pensare che, per l’esportazione definitiva di opere e oggetti di proprietà privata, che abbiano più di 70 anni con valore superiore a euro 13.500,00 e che non siano stati dichiarati di interesse particolarmente importante o eccezionale da parte del Ministero della Cultura, è necessario l’attestato di libera circolazione ex art. 68 D. lgs. n. 42/2004 che, una volta ottenuto, ha una validità di 5 anni e non è rinnovabile.24

Nel caso in cui l’Ufficio Esportazione neghi, con obbligo di motivazione, il rilascio dell’attestazione, si ha l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse (ex artt. 14 e 15 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).

All’Amministrazione è riconosciuto un potere di valutazione tecnica, che deve essere esercitato nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza secondo l’indirizzo dato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo25, ora Ministero della Cultura (MIC).

Nelle premesse del decreto ministeriale si legge: “…il diniego all’esportazione e il contestuale avvio del procedimento di dichiarazione di interesse, sono provvedimenti pienamente giustificati da un alto concetto del bene pubblico in quanto finalizzati alla tutela del patrimonio culturale italiano, ma che incidono anche sui diritti della proprietà privata come riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, occorre per questo massima cura nel formulare un provvedimento restrittivo, evitando giudizi apodittici non sostenuti da un’adeguata argomentazione critica e storica.

Pertanto, le relazioni a supporto di tale provvedimento devono essere sviluppate in maniera esaustiva, con motivazioni puntuali, riferimenti bibliografici aggiornati se disponibili, e attraverso l’associazione di più di un principio di rilevanza tra quelli riformulati nei nuovi Indirizzi, soprattutto nei casi in cui sembra essere predominante una valutazione legata alla qualità artistica del bene, non sufficiente da sola a giustificare un provvedimento di tutela.

Proprio la concorrenza fra più parametri tra quelli indicati contribuisce a rafforzare il ‘motivato giudizio’ richiamato dall’articolo 68, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004”.

Gli elementi di valutazione per fare emergere la sussistenza o insussistenza dei presupposti o requisiti della cosa esaminata, idonei a sorreggere la decisione di rifiuto o rilascio dell’attestato, sono indicati dal decreto ministeriale26, ossia:

  1. qualità artistica dell’opera;
  2. rarità intesa sia in senso quantitativo che e/o qualitativo;
  3. rilevanza della rappresentazione;
  4. appartenenza a un complesso e/o a un contesto storico, archeologico, monumentale;
  5. testimonianza particolarmente significativa per la storia del collezionismo;
  6. testimonianza rilevante sotto il profilo archeologico, artistico, storico, etnografico di relazioni significative tra diverse aree culturali, anche di produzione e/o di provenienza straniera.

I criteri in ragione dei quali ciascun presupposto o requisito dovrà essere valutato sono sempre indicati nel decreto ministeriale.

Il TAR Lazio, con la sentenza n. 14027 del 28 dicembre 2020, ha precisato che, per effettuare la valutazione richiesta dall’art. 68 sopra citato, non è sufficiente uno solo degli indirizzi dati, ma è necessaria la coesistenza di più criteri per giustificare un eventuale diniego dell’attestato di libera circolazione, risultando invece necessaria la coesistenza di più criteri e non potendo attribuirsi rilevanza a un solo “parametro che, atomisticamente considerato – pur prescindendo dalle relative valutazioni di merito, insindacabili da questo Tribunale in assenza di manifeste illogicità e irragionevolezze – non è idoneo a supportare la declaratoria di interesse culturale in contestazione”.

Che la valutazione da condurre non possa essere generica o presuntiva, ma che, al contrario, debba essere concreta, precisa, accurata e che tenga in considerazione tutte le caratteristiche specifiche dell’oggetto d’arte, lo ha rimarcato la sentenza del TAR Toscana n. 502 del 24 aprile del 2024.

Oggetto di impugnazione davanti al Giudice Amministrativo era l’atto27 adottato dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo28, Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e per le province di Pistoia e Prato, Ufficio esportazione oggetti di antichità e d’arte, atto che negava il rilascio dell’attestato di libera circolazione per l’olio su tela con cornice di Guido Boggiani, raffigurante “Veduta del Rio Paraguay” e comunicazione di avvio del procedimento di dichiarazione di interesse particolarmente importante.29

Ancora, venivano impugnati: il “Verbale – Relazione storico-artistica”; la “Risposta alle osservazioni al preavviso di diniego per un dipinto con cornice di Guido Boggiani, olio su tela, raffigurante ‘Veduta del rio Paraguay’, firmato in basso a destra G. Boggiani 97”, il preavviso di diniego prot. n. 1517 del 19/01/2021; il verbale prot. n. 25700 del 14/12/2020; tutti gli atti e verbali della commissione esaminatrice e ogni atto a questi annesso, presupposto, conseguente e/o comunque connesso.

La Berardi Galleria d’Arte s.r.l. proprietaria del dipinto, “Veduta del Rio Paraguay”, firmato da Guido Boggiani, per il tramite della Fracassi Worldwide Shipping s.r.l., presentava all’Ufficio esportazione oggetti di antichità e d’arte della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e per le Province di Pistoia e Prato, richiesta30 di rilascio dell’attestato di libera circolazione31 indicando un valore del bene pari ad euro 50.000,00.

Dopo la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza e due serie di osservazioni presentate dall’interessata, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e per le Province di Pistoia e Prato32 disponeva il diniego dell’attestato di libera circolazione, richiamando, in funzione motivazionale del provvedimento, l’apposita relazione resa dalla Commissione “esaminatrice” operante all’interno della Soprintendenza; l’atto già richiamato comunicava altresì all’interessata l’instaurazione del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale ai sensi dell’art. 68, comma 6 del D.lgs. n. 43 del 22 gennaio 2004 e la sottoposizione del bene alle misure cautelari previste dal Codice dei beni culturali.

Nell’accogliere il ricorso della società, il TAR Toscana richiamava il tradizionale indirizzo giurisprudenziale33 della necessità della motivazione nell’atto di diniego34, principio nel solco di un’elaborazione giurisprudenziale, valido sia nel caso del diniego di esportazione35, che nel caso più generale dell’imposizione dei vincoli derivanti dal valore artistico del bene.

Si rammenta che, nel caso in cui le motivazioni manchino, il G.A. non può sostituirsi agli organi tecnici a ciò deputati ed effettuare una valutazione del valore artistico dell’opera.36

In caso di diniego del rilascio del titolo per la libera circolazione di un’opera e contestuale apposizione del vincolo culturale, il suo compito è allora quello di verificare che la decisione assunta dall’amministrazione rientri nel perimetro delle conoscenze scientifiche e tecniche e se il perimetro di decisione è stato mantenuto, non potrà la decisione amministrativa essere scalfita dal giudicante.

Quest’ultimo infatti, “nell’approvare o bocciare l’esercizio della discrezionalità tecnica amministrativa, non è tenuto a sostituire con il proprio giudizio quello posto alla sua attenzione dal ricorso presentato”.37

Inoltre, fondamentali sono gli indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell’attestato di libera circolazione da parte degli uffici esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico, dettati dal decreto, 6 dicembre 2017, n. 537 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in esecuzione della specifica previsione di cui all’art. 68, comma 4 del d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Il provvedimento di diniego ha una indubbia incidenza sul diritto di proprietà privata, per questo il rispetto degli indirizzi nel valutare la connessione o meno, è fondamentale.38

Ancor prima della decisione del TAR Toscana del 2024, si era formato un indirizzo giurisprudenziale, abbracciato dallo stesso Tribunale Amministrativo toscano, secondo il quale non è sufficiente un solo parametro isolatamente considerato, per giustificare la declaratoria di interesse culturale e quindi il diniego dell’autorizzazione.39

Nel caso di specie, prima era stato escluso l’interesse storico-artistico grazie a un parere breve del MIC40 sovrapponibile con quello reso dal consulente tecnico del ricorrente, dopo invece è stata la Commissione “esaminatrice”, che fa parte della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e per le Province di Pistoia e Prato, ad avere ravvisato la presenza di elementi “di cui ai punti n. 3 (rilevanza della rappresentazione) e 6 (testimonianza rilevante, sotto il profilo etnografico, di relazioni significative tra diverse aree culturali)”.

La motivazione della decisione si basava sul ruolo dell’autore del dipinto Guido Boggiani nella ricerca etnologica, in cui sicuramente le sue pubblicazioni hanno ottenuto un ruolo di primo piano.41

L’importanza e centralità della figura del prefato pittore, che è innegabile, non poteva però costituire di per sé sola una ragione valida e sufficiente per negare l’autorizzazione chiesta dal ricorrente, secondo proprio quell’indirizzo giurisprudenziale sopra citato di una valutazione complessiva di tutti gli elementi.

La relazione della Commissione della Sovrintendenza parlava della scelta dell’autore di rappresentare quell’“angolo chiuso dagli argini fluviali” presente anche in una fotografia, destinata ad assumere valore etnologico per la presenza dei Tumanha, che però il TAR Toscana ha ritenuto troppo poco per concludere sulla sussistenza del criterio della “rilevanza della rappresentazione”.42

Inoltre, l’assoluta assenza di figure umane e di manufatti provenienti dall’opera dell’uomo esclude poi che il dipinto in questione possa soddisfare l’altro requisito di cui al punto 6 del d.m. 6 dicembre 2017, n. 537, vale a dire il costituire “testimonianza significativa del dialogo e degli scambi tra la cultura artistica, archeologica, antropologica italiana e il resto del mondo”.

A contrario, afferma la sentenza in parola che “risulta evidente come lo scambio culturale si esaurisca nel fatto stesso che il dipinto sia stato eseguito e rappresenti un luogo di un paese straniero, essendo del tutto assente un qualche elemento che possa riportare l’opera, di per sé presa, alla documentazione etnografica o alla documentazione di scambi culturali particolarmente rilevanti”.

E sono un po’ deboli le argomentazioni su una “(presunta) volontà dell’autore di documentare lo stato dei luoghi” a distanza di quattro anni o all’esecuzione dell’opera nel periodo finale della vita dell’autore in cui lo stesso risultava avere “smarrito la sua identità culturale europea per vestire i panni di un indio sudamericano” risultano poi palesemente mal poste, in quanto potrebbero, al massimo, “dimostrare il valore culturale della foto del 1901, piuttosto che di un dipinto di quattro anni precedente”.43

In definitiva, quelli evidenziati dal TAR Toscana sono vizi di “macroscopica illogicità” che non rispettano le conoscenze scientifiche e tecniche della materia (Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2023, n. 4686), cosa che fa propendere per l’accoglimento del ricorso della ricorrente.

Una volta che le opere d’arte vengono alienate non è sempre facile poi stabilire il corretto trattamento fiscale.

In Italia, il regime applicabile alle opere d’arte è principalmente disciplinato dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, oltre che dalla normativa relativa all’IVA e alle imposte sui redditi. 

Una delle principali distinzioni si pone tra la vendita effettuata da commercianti professionisti e quella effettuata da privati cittadini. 

Nel primo caso l’operazione è soggetta all’IVA con un’aliquota ridotta, attualmente fissata al 10%.

Tuttavia, esistono specifiche eccezioni previste dalla normativa italiana che possono limitare l’applicabilità dell’aliquota ridotta, come avviene nel contesto delle importazioni. 

Per quanto riguarda le imposte dirette, uno degli aspetti principali da esaminare è la natura del reddito derivante dalla vendita di un’opera d’arte. 

Se considerata bene strumentale o parte del patrimonio personale, il trattamento fiscale sarà differente. Per un collezionista privato, di norma, la vendita di opere d’arte non è tassata trattandosi di beni mobili personali. 

L’art. 55 del TUIR considera produttive di reddito d’impresa, ai fini fiscali, le attività indicate nell’art. 2195 c.c. – tra le quali l’intermediazione nella circolazione dei beni – se esercitate in modo professionale e abituale, ancorché non esclusivo, e anche se non organizzate in forma d’impresa.

Non vi è una normativa specifica in materia. Tuttavia, già nel 2019, l’interrogazione parlamentare del 21 marzo n. 5-01718 aveva aperto la strada alla possibilità che le cessioni potessero essere soggette a tassazione: “in base all’attuale quadro normativo contenuto nel Testo Unico delle imposte sui redditi…, i redditi derivanti dalla cessione delle opere d’arte possono essere assoggettati a imposizione ai sensi dell’art. 67, comma 1 lett. i) del TUIR, laddove qualificabili come redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente”.

Anche se dimostrare che si tratti di un’attività commerciale “implica sovente complesse attività di analisi, dagli esiti spesso incerti, finalizzate a ricostruire una pluralità di atti – anche compiuti nell’arco di diversi anni – tra loro collegati e preordinati al conseguimento di un reddito attraverso la cessione dei beni in questione”.44

Da qui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato gli atti impositivi.

Sono elementi determinanti per stabilire se il trasferimento debba essere tassato o meno, capire:

– chi esegue l’operazione, e può essere il mercante d’arte, l’antiquario, la galleria o casa d’asta o il collezionista privato;

– quali scopi si prefigge nel farlo e,

– chiaramente la regolamentazione fiscale cambia a seconda della giurisdizione di riferimento.

L’esito dell’interrogazione parlamentare è stato confermato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 19363 del 15 luglio 2024, ha risposto ad alcuni interrogativi connessi e determinanti nella scelta della fiscalità applicabile, come la distinzione tra mercante d’arte45 e collezionista46 (è quello che l’Amministrazione finanziaria definisce come “amatore47).48

A sua volta si distingue in collezionista “speculatore occasionale” e “speculatore puro”, a seconda della “abitualità” nell’esercizio dell’attività che attribuisce rilevanza all’attività svolta come reddito d’impresa, mentre il collezionista “speculatore occasionale”, potrebbe generare redditi diversi senza però essere soggetto all’ IVA, proprio per la mancanza dell’elemento dell’abitualità.

Il “collezionista puro” per il proprio “tipico” scopo di godere dell’opera e “contemplarne la bellezza o soddisfare il proprio gusto estetico o per un fine squisitamente culturale”, rimane escluso da imposizione ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, per carenza di qualsiasi profilo speculativo.

La questione partiva dalla notifica di un avviso di accertamento IRPEF da parte dell’Agenzia delle Entrate a un contribuente che – a dire dell’Agenzia – aveva conseguito un maggior reddito, una plusvalenza appunto – in relazione a una cessione a titolo oneroso di un dipinto di Monet.

L’Agenzia delle Entrate escludeva che si trattasse di “collezionista puro” e che quindi dovesse pagare le imposte sul reddito.

Il ricorrente soccombeva in appello e ricorreva in Cassazione che così coglieva l’occasione per definire gli elementi in ragione dei quali si possa parlare di “speculatore occasionale” e distinguerlo dal “collezionista puro”.

Secondo la Suprema Corte, bisogna considerare:

– l’importo della plusvalenza generata, ammontante a circa euro 5 milioni;

– la molteplicità delle operazioni similari compiute nel corso degli anni che, lasciano presumere l’intento di realizzare “(quantomeno anche) un investimento con aspettative finanziarie” sebbene quelle attività non consentissero di equipararlo a un mercante d’arte;

– nonché le operazioni prodromiche compiute, al fine di accrescere il valore complessivo dell’opera successivamente oggetto di cessione.

La valutazione di tutti questi elementi ha portato i giudici di legittimità a confermare la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, ribadendo la rilevanza fiscale della cessione dell’opera d’arte anche se l’operazione oggetto di accertamento era stata l’unica posta in essere nel corso del periodo accertato.

Ha escluso, in definitiva, che il contribuente potesse qualificarsi come “collezionista puro”, in considerazione della tipologia complessiva delle attività svolte lungo un periodo d’osservazione superiore a quello del singolo anno d’imposta e da detta osservazione “poteva desumersi che aveva agito per scopi estranei a intenti speculativi prevalentemente connotati dalla passione e per l’arte in genere”.

È importante sottolineare come la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6874 del 2023, al par. 3.4, richiamando altri suoi precedenti49, abbia ricordato come, da suo costante orientamento, ha “in più occasioni ribadito che l’art. 55 del TUIR intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma d’impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo che costituisce, invece, elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale ancorché non esclusiva”.

Come noto, la definizione dei soggetti titolari di reddito d’impresa ai fini fiscali diverge dalla nozione civilistica di imprenditore, in base alla quale “è imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.50

Sempre nella medesima ordinanza, la Corte parla della necessità “che l’attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità (cfr. Cass. n. 5853 del 2016)” e aggiunge che “non può escludersi la qualità di imprenditore in colui il quale compia un unico affare, di non trascurabile rilevanza economica, a seguito dello svolgimento di un’attività che abbia richiesto una pluralità di operazioni”.

Da quanto detto, si tende a escludere che si tratti di un’attività commerciale ancorché occasionale e quindi che la plusvalenza non vada tassata, quando si tratti:

  • di una mera detenzione “passiva” dell’opera d’arte, seguita dalla dismissione patrimoniale;
  • o anche dell’alienazione di una collezione “in blocco”, eventualmente conseguendo anche un corrispettivo inferiore al valore di mercato (elemento considerato sintomatico dell’assenza di uno scopo lucrativo);
  • della provenienza ereditaria o donativa delle opere d’arte;
  • della vendita delle opere per il tramite di case d’asta;
  • di un possesso “prolungato” delle opere;
  • quando ci sia un’elevata distanza temporale tra l’acquisto e la successiva rivendita delle stesse;
  • quando ancora ci sia l’integrale reinvestimento in altra opera d’arte della plusvalenza realizzata attraverso la cessione.

È stato oggetto di critiche il riferimento giurisprudenziale alle “attività finalizzate a facilitare la vendita”, perché non ne viene specificato quali siano in concreto.

Se l’idea è quella delle attività come la catalogazione, la conservazione in magazzini, l’assicurazione dei beni collezionati, queste in passato sono state ritenute sintomatiche dello svolgimento di un’attività commerciale.

Tuttavia è stato osservato come esse siano insite nel piacere edonistico dei collezionisti e compatibile con lo scopo amatoriale l’esporre le opere in mostre e musei.

Infatti, la vendita di opere esposte in musei, magari dopo tanti anni dall’esposizione, non necessariamente può dirsi effettuata nell’esercizio di un’attività commerciale, senza considerare che questo tipo di iniziative, rafforzando l’offerta museale accessibile al pubblico, supportano una “fruizione” generalizzata dell’arte.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 15931 del 2021, aveva ritenuto addirittura possibile qualificare come produttiva di reddito d’impresa anche la conclusione di un unico affare, qualora di notevole rilevanza economica e, soprattutto, qualora implichi il compimento di una pluralità di atti prodromici.

La circostanza che sia stata emanata una legge delega per la riforma tributaria51 evidenzia la volontà del Governo di dare certezze a un settore – quello del mercato dell’arte – che è privo di una regolamentazione chiara e precisa e che, in ragione dei numeri delle transazioni, si presenta fondamentale per l’economia nazionale

E la legge delega mira a introdurre una regolamentazione specifica che escluda la tassazione delle plusvalenze sia realizzate dal cosiddetto “collezionista puro”, sia derivanti da opere ricevute per successione o donazione o da operazioni di permuta o di reinvestimento dei proventi in altra opera; fattispecie, queste ultime, nelle quali dovrebbe mancare un oggettivo intento speculativo.52

Per quanto concerne l’IVA, l’obiettivo è quello di introdurre un regime agevolato per le importazioni e le cessioni di oggetti d’arte, antiquariato o collezione al fine proprio di incentivare il relativo mercato e rendere il nostro ordinamento maggiormente competitivo.


1 Sono creazioni d’ingegno espressione della creatività umana, in qualunque forma sia realizzata.

Non tutte le opere d’arte sono beni culturali, lo diventano nel momento in cui le cose mobili e immobili, presentano un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico quali testimonianze aventi valore di civiltà (artt. 2 comma 2, 10 e 11 del Codice dei beni culturali e del paesaggio).

2 Come le auto d’epoca, le monete, i vini pregiati, etc.

3 Sono definitivi emotional assets.

4 SANTONI Lucia, Opere d’arte: opportunità di investimento e fiscali, in Wealth Management di Società e Tributi Week – settimanale economico giuridico on line, 30.04.2019.

5 Per fondo d’arte (o art fund) si indica u

n fondo di investimento speculativo (hedge) gestito da un management (solitamente una società di gestione del risparmio) che raccoglie capitali privati con lo scopo di acquisire, valorizzare e in seguito vendere le opere acquisite.

Oggi le tipologie di fondi in circolazione sono sostanzialmente due: long term (8-10 anni) con periodi di tempo in cui l’investitore non è possibile richiedere il rimborso delle quote detenute (lock up) generalmente di 3/5 anni e diversificazione su tutto il periodo della storia dell’arte, e quelli più speculativi, a breve termine (in genere 5 anni) che puntano sul mercato dell’arte contemporanea, che spesso offre maggiori possibilità di trading.

6 Uno dei più noti è “il Fine Art Fund, fondo londinese ideato da Lord Hanson, uomo d’affari molto attivo negli anni ’80 e grande appassionato d’arte, che annovera nel proprio management professionalità delle più esperte quali Lord Gowrie, Ministro britannico della Cultura del Governo Thatcher e Presidente di Sotheby’s per 10 anni, e Philip Hoffman, già direttore finanziario di Christie’s. Di tutt’altra natura è l’Art Trading Fund, fondo lanciato da Chris Carlson, che si propone di essere un fondo ad alto rischio che investe esclusivamente in arte moderna e contemporanea, con un alto turn over delle opere possedute, e che cerca di sfruttare il sistema dell’arte per garantire margini di guadagno elevati” (da FARINA Pierluigi, Investire nell’arte: Gli “Art Investment Funds”, 06.06.2018).

7 Deloitte, 2016.

8 MSCI è l’acronimo di Morgan Stanley Capital International. Esso è un indice equity che ha nel paniere azioni di aziende ad alta e media capitalizzazione provenienti da 23 paesi tra loro diversi, ma sono tra i più industrializzati e sviluppati del mondo. È una composizione varia e bilanciata. Nel 2024 azioni presenti sono: per il 73,94% di aziende presenti negli Stati Uniti, per il 5,36% in Giappone, per il 3,43% nel Regno Unito, per il 3% in Canada, per il 2,6% in Francia e l’11,72% negli altri paesi. La scelta è dettata sull’idea che l’indice debba rappresentare l’andamento delle principali economie mondiali, compresi i paesi in via di sviluppo. Anche i settori scelti servono per rispecchiare l’importanza che detengono all’interno delle economie di riferimento.

9 Francesca Colasanti di Colasanti Casa d’Aste parla di acquisti compulsavi durante la pandemia, che ha accelerato l’uso dell’on line con conseguente riduzione del numero di persone presenti in sale e aumento complessivo di coloro che si collegano da remoto. (v.

10 I dati italiani mostrano un leggero miglioramento rispetto al secondo semestre 2023, con un fatturato di 64.016.083 euro, in crescita rispetto ai 61.278.206 euro dell’anno precedente (da Colasanti casa d’aste: tra tradizione e innovazione nel mercato dell’arte in Collezione da Tiffany …dal 2012 il primo blog dedicato al collezionismo d’arte, 06.02.2025).

11 L’eccezione è Antonio Ligabue venduto a euro 473.600 da Pandolfini e L’empire des lumières di René Magritte venduta da Christie’s a 1211 milioni di dollari.

12 Grande interesse nei confronti del design, dell’orologeria italiana e delle collezioni di moda

13 Giuseppe Bertolami, amministratore unico Bertolami Fine Art: “Dovremo imparare a decifrare il gusto di questa platea emergente. Nelle aste di arte del Novecento si registra un forte interesse per artiste donne e per lavori di LGBTQ Art. Nel segmento dell’arte figurativa tra le due guerre, vediamo una crescente domanda per maestri del Realismo Magico, come Antonio Donghi, Felice Casorati, Cagnaccio da San Pietro e Ubaldo Oppi, ormai introvabili”.

14 Si ricava a contrario dall’art. 12 del Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici: “1. Le cose indicate all’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2”.

15 Il passaggio alla valorizzazione finanziaria del patrimonio immobiliare pubblico fu segnato dal cosiddetto federalismo demaniale del 2010. Il decreto sul federalismo demaniale specificava che il trasferimento dei beni agli enti locali doveva costituire “la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività territoriale rappresentata“. Si pensi ad esempio alla valorizzazione finanziaria degli immobili di proprietà pubblica, con specifico riguardo a quelli della Difesa, con l’art. 26 dello “SbloccaItalia” del 2014, diventa una modalità pressoché ordinaria per ricavare risorse finanziarie attraverso la valorizzazione commerciale di immobili, anche di valore storico-artistico, non più utilizzati per scopi istituzionali.

L’art. 2, comma 4, D.lgs., 28 maggio 2010, n. 85. recita: “L’ente territoriale, a seguito del trasferimento, dispone del bene nell’interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività territoriale rappresentata. Ciascun ente assicura l’informazione della collettività circa il processo di valorizzazione, anche tramite divulgazione sul proprio sito internet istituzionale. Ciascun ente può indire forme di consultazione popolare, anche in forma telematica, in base alle norme dei rispettivi Statuti”.

16 Ex multis e più di recente cfr. CASINI Lorenzo, Patrimonio culturale, in Enciclopedia del Diritto – I Tematici – vol. III – Le funzioni amministrative (a cura di B.G. Mattarella e M. Ramajoli), Giuffré, Milano, 2022; TARASCO Antonio Leo, Patrimonio culturale (voce), Enciclopedia Treccani, Roma, 2020

17 Art. 6 del Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici: “La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati.

La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze.

La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale”.

18 Per la nozione di ‘bene culturale’, si veda SEVERINI Giuseppe, Commento artt 1-2, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) SANDULLI Maria Alessandra, III Ed., Giuffrè-Francis Lefebvre, Milano, 2019, p.12; GIANNINI Massimo Severo, I beni culturali, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1, 1976, pp. 3 e ss.

19 GIANNINI Massimo Severo, opera citata.

20 GIANNINI Massimo Severo, I beni pubblici, Bulzoni, Roma, 1963, pp. 92-93.

21 NIVARRA Luca, Alcune riflessioni sul rapporto fra pubblico e comune, in Oltre il privato e il pubblico. Per un diritto dei beni comuni (a cura di MARELLA Maria Rosaria), Ombre Corte, Verona, 2012, pp. 71 e ss.

22 Ostrom, premio Nobel per l’Economia definisce, nel 2009, un bene comune come “una risorsa condivisa da un gruppo di persone e soggetta a dilemmi ossia interrogativi, controversie, dubbi, dispute sociali”. Si veda HESS Charlotte – OSTROM Elinor, Panoramica sui beni comuni della conoscenza, in La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica (a cura di HESS Charlotte – OSTROM Elinor), Bruno Mondadori, Milano, 2009, p. 3.

23 GIANNINI Massimo Severo, I beni pubblici, Bulzoni, Roma, 1963, p. 54

24 Questa la modalità per il rilascio dell’attestazione (secondo la Soprintendenza speciale di Roma: l’interessato deve caricare la domanda sulla piattaforma S.U.E.; non è possibile inserire nella domanda più di 15 beni per volta; l’ufficio provvederà a convocare l’interessato perché presenti fisicamente l’opera e nell’occasione dell’incontro dovrà portare la documentazione cartacea generata della piattaforma S.U.E., firmata, comprensiva di marca da bollo di euro sedici e di documentazione fotografica in duplice copia.

Le fotografie devono avere ottima qualità della ripresa; devono essere frontali, nitide, avere colori fedeli all’originale; l’oggetto deve occupare tutto il campo della fotografia eliminando l’ambiente circostante; particolare attenzione se ci sono firme, cartigli, scritte, sigilli etc. perché in tal caso deve essere ripreso il dettaglio; le opere devono essere riprese fronte/retro mentre quelle tridimensionali da tutti i lati.

25 Si tratta del D.M., 6 dicembre 2017, n. 537 del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali: “Indirizzi di carattere generali per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell’attestato di libera circolazione da parte degli uffici Esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico”.

Nella premessa si legge che “gli Uffici esportazione devono svolgere le funzioni di accertamento e di valutazione tecnico-scientifica preordinate alla decisione attenendosi ai seguenti indirizzi generali, articolati in elementi di valutazione, che rappresentano i principali presupposti o requisiti della cosa esaminata rilevanti ai fini della decisione, e in criteri valutativi, che rappresentano profili interni di dettaglio della disamina relativa a ciascun elemento di valutazione”.

26 D.M., 6 dicembre 2017, n. 537, p. 4.

27 Atto 10 febbraio 2021 prot. n. 3927.

28 Ridenominato Ministero della cultura ex D.L., 1 marzo 2021, n. 22.

29 Di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 42/2004, comunicato alla ricorrente in data 11.02.2021.

30 Prot. n. 25700 del 14 dicembre 2020, codice pratica SUE n. 517010.

31 Di cui all’art. 68 del D.Lgs. n. 42/20024 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

32 Atto 10 febbraio 2021 prot. n. 3927, a firma congiunta del Soprintendente e del Responsabile dell’Ufficio esportazione oggetti di antichità e d’arte.

33 Recentemente ribadito dalla Sezione con la sentenza 22 marzo 2024, n. 335.

34A fronte sia dei criteri predeterminati dal legislatore ai fini della valutazione dell’interesse culturale dell’opera, sia, ancor più e proprio in ragione dell’ampia discrezionalità spettante all’amministrazione nel giudizio cui è chiamata dall’art. 68, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, la motivazione è necessaria onde dar conto del corretto uso del potere esercitato e dell’osservanza delle linee guida dettate dall’ordinamento. Proprio l’intrinseca insindacabilità nel merito del giudizio tecnico dell’amministrazione procedente rende imprescindibile, ai fini della legittimità dell’azione amministrativa nel settore, il rispetto delle garanzie formali e procedimentali prescritte per addivenire alla corretta formulazione della valutazione conclusiva, ovvero per addivenire alla graduazione d’intensità dell’interesse storico artistico propedeutica alla decisione sul rilascio o meno dell’attestato de quo. Tra tali garanzie assume rilievo quella dell’obbligatoria e convincente motivazione, indispensabile ad assicurare il sindacato sulla decisione maturata in ordine all’istanza, sia nella forma di verifica di legittimità e di merito in sede di ricorso gerarchico, sia nella forma più limitata del controllo esterno proprio del sindacato di legittimità del giudice amministrativo (TAR Lazio, Roma, II quater, 30.7.2008, n. 7757)” (TAR Toscana, n. 1492/2015).

35 TAR Lombardia n. 2430/2021; Cons. Stato n. 548/2018.

36 Il giudice non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’amministrazione, bensì è tenuto a verificare soltanto se l’opzione amministrativa prescelta «rientri o meno nella ristretta gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto”.

37 Cons. Stato n. 4686/2023.

38Massima cura nel formulare un provvedimento restrittivo, evitando giudizi apodittici non sostenuti da una adeguata argomentazione critica e storica …(e di) motivazioni puntuali, riferimenti bibliografici aggiornati, se disponibili” tendenti a dimostrare la presenza “di più di un principio di rilevanza, tra quelli riformulati tra gli indirizzi” e costituiti “dalla qualità artistica dell’opera… dalla rarità (in senso qualitativo e/o quantitativo) …dalla rilevanza della rappresentazione…dall’appartenenza ad un complesso e/o contesto storico, artistico, archeologico, monumentale…(dalla) testimonianza particolarmente significativa per la storia del collezionismo…(e dalla) testimonianza rilevante, sotto il profilo archeologico, artistico, storico, etnografico, di relazioni significative tra diverse aree culturali anche di produzione e/o provenienza straniera”.

39Principi di rilevanza” previsti dal D.M. n- 537/2017, risultando necessaria la coesistenza di più criteri e non potendo attribuirsi rilevanza alla sussistenza di un solo “parametro che, atomisticamente considerato – pur prescindendo dalle relative valutazioni di merito, insindacabili da questo Tribunale in assenza di manifeste illogicità ed irragionevolezze – non è idoneo a supportare la declaratoria di interesse culturale in contestazione” (TAR Lazio n. 14027/2020).

40 Il parere, in forma breve, era stato reso nel procedimento dalla dott.ssa Vanessa Gavioli del Ministero della Cultura.

41 Sono citate dai testi classici dell’Antropologia.

42Non a caso” dice la sentenza che il criterio “è definito dal d.m. 6 dicembre 2017, n. 537 come ‘non comune livello di qualità e/o importanza culturale, storica artistica, geografica o etnoantropologica’ in rapporto alle fonti iconografiche e documentarie e tale conclusione risulta ancora più vera in un contesto in cui risulta documentata l’esistenza di più dipinti rappresentanti il rio Paraguay eseguiti da Guido Boggiani, a testimonianza del fatto che l’area geografica in discorso costituisse il fulcro dei suoi interessi”.

43 È riportata la sentenza del TAR Toscana.

44 La Legge, 9 agosto 2023, n. 111 ha attribuito al Governo la delega per l’attuazione della riforma fiscale in tema secondo i criteri e i principi di cui all’art. 5, comma 1 lett. h) punto 3.

Nel position paper n. 5/2024 di Assonime dal titolo “Proposte per una fiscalità dell’arte più competitiva”.

45 È chi svolge in modo professionale un‘attività di intermediazione nella circolazione di opere d’arte, acquistandole con il fine di venderle sul mercato per trarne profitto.

46 È chi invece acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di arricchire la propria collezione, senza la volontà immediata di rivenderle generando una plusvalenza.

47 Cfr. Dossier A.C. 1038-B del 2 agosto 2023, pp. 67-68.

48 Nell’ordinanza n. 6874 del 2023 (al par. 3.7), la Cassazione definisce il collezionista privato come colui che “acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza. L’interesse del collezionista è quindi rivolto non tanto al valore economico della res quanto a quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse dell’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre”.

49 Cass. civ., 16 dicembre 2022, n. 36992 e Cass. civ., 20 dicembre 2006, n. 27211.

50 Così l’art. 2082 c.c.

51 La legge, 9 agosto 2023, n. 111.

52 Art. 5, lett. h), n. 3, ai fini delle imposte sui redditi, l’introduzione di una disciplina delle plusvalenze conseguite, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, dai collezionisti di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione nonché, in generale, di opere dell’ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative, escludendo i casi in cui è assente l’intento speculativo, compresi quelli di plusvalenza relativa a beni acquisiti per successione o donazione, nonché esonerando i medesimi da ogni forma dichiarativa di carattere patrimoniale”. Al successivo art. 7, comma 1, lett. e) la stessa legge ha delegato il Governo, in materia di imposta sul valore aggiunto, aridurre l’aliquota dell’Iva all’importazione di opere d’arte, recependo la direttiva (UE) 2022/542 del Consiglio, del 5 aprile 2022, ed estendendo l’aliquota ridotta anche alle cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione”.

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