SOMMARIO: 1. Disciplina – 2. Definizione Sezioni Unite del 26 marzo 2025
1. Disciplina
La normativa relativa all’indebita percezione di erogazioni pubbliche è stata introdotta dalla Legge 29 settembre 2000, n. 300, in ottemperanza ad alcuni strumenti internazionali come la Convenzione PIF sulla tutela degli interessi finanziari della CE, firmata a Bruxelles il 26 luglio 1995.
La novella legislativa trova disciplina nel libro II del codice penale, titolo II dei delitti contro la pubblica amministrazione ed è posta a tutela del corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione.
Infatti, ai sensi dell’articolo 316 ter c.p. :”salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640 bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità Europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000. Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito”.
La norma attinente alle cosiddette frodi comunitarie, è stata introdotta con la finalità di censurare quei comportamenti che, non integrando gli estremi di cui all’art. 640 bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche), abbiano ad oggetto comportamenti caratterizzati dal mero silenzio antidoveroso o dall’induzione in errore. Sicché, la condotta tipica si snoda lungo due direzioni: “…mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute…”, rendendo necessario il rinvio a norme extrapenali che fanno sorgere il dovere di verità in capo al soggetto dichiarante.
Pertanto, il comportamento delittuoso si compone sia di condotte attive che di condotte omissive con riferimento ad informazioni dovute all’ente che rilascia il finanziamento.
L’art. 316 ter c.p. è posto a presidio del buon andamento della Pubblica Amministrazione, tutelando nello specifico la corretta destinazione delle finanze erogate dall’ente pubblico affinché non vengano distratte dalla finalità allocata. Altresì, la norma de qua tutela la formazione, libera, della volontà della Pubblica Amministrazione, in merito ai versamenti di distribuzione ed erogazione di risorse economiche, con la finalità di reprimere l’attribuzione non dovuta e di conseguenza l’indebito conseguimento, censurando il mancato obbligo di verità posto in capo al soggetto che richiede il finanziamento.
La condotta tipica è duplice, infatti consiste nell’utilizzo o nella presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere o nell’omissione di informazioni dovute, rendendosi dunque necessario il rimando a norme extrapenali che pongono in capo al soggetto un obbligo di verità.
Si tratta di condotte che integrano rispettivamente il falso o mendacio e il silenzio antidoveroso, che vengono punite in quanto conducono all’effettivo conseguimento delle erogazioni. Da tale qualificazione discende che la norma trova applicazione in ipotesi assolutamente marginali, in cui tra l’altro non vi è un accertamento effettivo dei presupposti da parte dell’ente erogatore, il quale dunque si rappresenta solamente l’esistenza della formale dichiarazione del richiedente. L’ indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.) rientra nella categoria dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, come i reati previsti dagli artt. 314 e 316 bis, anche il reato previsto e punito dall’art. 316 ter si caratterizza per avere una natura plurioffensiva.
La norma tutela il buon andamento, l’imparzialità (nazionale o sovranazionale) e il patrimonio della pubblica amministrazione, leso da una non corretta gestione e allocazione delle risorse pubbliche percepite indebitamente. In relazione al concorso con la fattispecie delittuosa di malversazione di erogazioni pubbliche di cui all’ art. 316 bis c.p., giova ricordare che quest’ultima riguarda un momento differente rispetto a quello inerente il delitto de quo, ossia la fase di richiesta di finanziamento all’ente pubblico e non quella del successivo utilizzo. Il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato diversamente dal reato di malversazione a danno dello Stato è configurabile anche nel caso di indebita percezione di erogazione (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 16568/2007).
Con riferimento, invece, al rapporto con la fattispecie delittuosa di cui all’art. 640 bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) la norma de qua si pone in un rapporto di sussidiarietà e non di specialità, dovendo trovare applicazione l’art. 316 ter c.p. solamente qualora difettino gli estremi della truffa. Il dibattito dottrinarle e giurisprudenziale è stato ricco ed articolato sino alla pronuncia delle Sezioni Unite del 27 aprile 2007. Parte della dottrina prende le mosse dalla tesi che nega dalla nuda menzogna, al semplice mendacio la configurabilità degli artifici o raggiri di cui al reato di truffa.
La dottrina prevalente sostiene che ad integrare il reato di truffa non sia sufficiente il mero mendacio, il silenzio maliziosamente serbato, una condotta meramente omissiva, essendo necessario anche un quid pluris, una condotta attiva idonea a trarre in errore. Si arriva così alla conclusione che la legge n. 300/2000 ha voluto coprire una lacuna per cui condotte (quali l’omissione di informazioni dovute) che non costituivano reato hanno acquistato rilevanza penalistica.
Si precisa, dunque, che il rapporto tra le due norme è di sussidiarietà, il che significa che il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato troverebbe applicazione in tutti quei casi in cui la condotta (concretizzandosi in “mera presentazione” di documenti falsi o nella omissione di informazioni dovute) avrebbe caratteristiche di minore intensità e non sarebbe idonea ad integrare gli artifici di cui all’art. 640 bis del codice penale (Fiandaca-Musco). Sotto un altro profilo è però oggi universalmente riconosciuto che anche un comportamento meramente omissivo possa configurare l’artifizio o il raggiro.
I rapporti tra le norme in esame sono, quindi, inquadrati nell’ambito del rapporto di specialità: nell’art. 316 ter è prevista una condotta che di per sé integra il reato di truffa; ma si tratta di artifizi o raggiri con note modali meno intense di quelle descritte dall’articolo 640 bis e che possono realizzarsi quando il soggetto agente pone in essere soltanto ed esclusivamente una delle condotte delineate dall’articolo 316 ter. Il dibattito dottrinale si riflette sulla giurisprudenza.
Un primo indirizzo sostiene che il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato costituisca norma sussidiaria rispetto al reato di truffa di cui all’art. 640 bis c.p. il quale esaurisce l’intero disvalore del fatto ed assorbe l’interesse tutelato dalla prima previsione (cfr. Cass., sez. VI, 23 novembre 2001, n. 41928). Si ritiene, quindi, che la norma in esame troverà applicazione in quei casi in cui il mendacio non integri gli artifici di cui all’art. 640 bis c.p.
All’opposto, numerose sentenze fanno riferimento al rapporto di specialità, allorché la condotta incriminata sia consistita nella semplice attestazione di fatti non conformi al vero, sarà integrato il delitto di cui all’ art. 316 ter c.p., che disciplina una condotta pur sempre truffaldina, ma caratterizzata da quelle particolari modalità ivi descritte (cfr. Cass., Sez. Un., 6 marzo 2003, 224966).
Nonostante la sentenza delle Sezioni Unite, in ultimo citata, anche in data a questa successiva si registravano arresti giurisprudenziali di segno opposto. La giurisprudenza di legittimità successiva individua un autonomo spazio applicativo dell’art. 316 ter per cui la mera ostentazione di documenti non veritieri o il mero silenzio di informazioni dovute non integrerebbero gli “artifici o raggiri” richiesti per la più grave ipotesi delittuosa della truffa. Si configurerebbe, invece, la truffa aggravata quando il richiedente il finanziamento è lo stesso artefice della documentazione falsa prodotta, avendosi, in tal caso, “un raggiro” del soggetto agente (Cass., 15 ottobre-4 novembre 2004, n. 43202).
Sull’argomento sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite con la sentenza 27 aprile 2007 n.16568 che, oltre ad arricchire il complesso panorama giurisprudenziale sul campo applicativo e sui rapporti reciproci tra l’art. 640 bis c.p. e gli artt. 316 bis e ter c.p., si sono occupate anche di alcuni delitti contro la fede pubblica.
In particolare, il Supremo Consesso ha statuito chei delitti di cui agli artt. 316 ter e 640 bis c.p., configurabili entrambi, diversamente dal delitto previsto dall’art. 316 bis c.p., anche nel caso di indebita erogazione di contributi di natura, sono in rapporto di sussidiarietà e non di specialità. Sicché il residuale e meno grave delitto di cui all’art. 316 ter c.p., che diversamente da quello di cui all’art. 640 bis c.p. assorbe anche i delitti di falso ideologico previsto dall’art. 483 c.p. e di uso di atto falso previsto dall’art. 489 c.p., è configurabile solo quando difettino nella condotta gli estremi della truffa (cfr. Cass. Sez. Un. n. 16568/2007).
Il bene giuridico tutelato è il buon andamento della P.A. sotto il particolare profilo della corretta allocazione delle risorse finanziarie pubbliche. La condotta si sostanzia sia in comportamenti positivi (utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere), sia in comportamenti omissivi (omissione di informazioni), con la precisazione che le informazioni omesse devono essere dovute, e quindi trovare fondamento in una richiesta espressa dell’ente erogatore.
Con riferimento all’elemento oggettivo l’articolo in commento dispone che il delitto sia configurato anche dal conseguire “per altri” le “sovvenzioni”. La fattispecie delittuosa di cui all’art. 316 ter c.p. si perfeziona nel momento in cui il soggetto attivo ottiene la concreta disponibilità del finanziamento, sul punto così dispone la Suprema Corte: “ Il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.) si consuma nel momento e nel luogo in cui l’ente pubblico eroga i contributi, i finanziamenti, i mutui agevolati, disponendone l’accredito sul conto corrente del soggetto che ne abbia indebitamente fatto richiesta, perché è con quell’atto che si verifica la dispersione del denaro pubblico”(cfr. Cass. Pen. N. 12625/13).
Applicando tale principio, la Corte di Cassazione ha identificato nel luogo dove ha sede l’ente pubblico erogante il finanziamento la competenza territoriale, giudicando, al contrario, irrilevante il luogo in cui era stata presentata la documentazione ad opera del soggetto richiedente.
Il reato di cui all’art. 316 ter cod. pen. si consuma nel luogo in cui il soggetto pubblico erogante dispone l’accredito dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre provvidenze in favore di chi ne abbia indebitamente fatto richiesta, perché con tale atto si verifica la dispersione del denaro pubblico, e non in quello in cui avviene la materiale apprensione degli incentivi. L’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato è un reato che danneggia lo Stato, l’ente pubblico e/o la Comunità europea che eroga o concede un contributo, un finanziamento, un mutuo agevolato, etc.
La norma mira a punire la condotta di chi consegue (per sé o per altri), tramite l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti il falso, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, contributi, finanziamenti concessi o erogati dagli organismi abilitati. Si tratta di condotte equivalenti, che possono concretizzarsi o attraverso comportamenti positivi (utilizzo o presentazione) o per mezzo di atteggiamenti omissivi (omissione di informazioni) dallo stesso Istituto le corrispondenti erogazioni in forma di risparmio di spesa.
2. Definizione Sezioni Unite del 26 marzo 2025
Con ordinanza la Sesta Sezione della Suprema Corte ha rimesso alle Sezioni Unite due questioni controverse riguardanti il delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316 ter c.p.
Le SS.UU. vengono, in primo luogo, interrogate in merito alla possibilità stessa di ammettere l’integrazione del reato de quo laddove l’indebita percezione consista nel conseguimento di un risparmio di spesa, ottenuto mediante l’utilizzo o la presentazione di documenti falsi. Il secondo quesito concerne l’individuazione del momento consumativo dell’art. 316 ter al cospetto di erogazioni dilazionate nel tempo: è, infatti, controverso se si tratti di fattispecie di natura istantanea e se quindi, in caso di molteplici erogazioni, debba affermarsi il concorso materiale tra più reati eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione o se sia invece ravvisabile un unico delitto a consumazione prolungata, che si protrae fino alla ricezione dell’ultimo contributo fattispecie di cui agli artt. 483 e s.s. c.p..
Il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato era destinato nelle intenzioni del legislatore a completare il microsistema repressivo delle frodi nelle sovvenzioni pubbliche, incriminando attività prodromiche alla concessione dell’erogazione non rientranti nel paradigma punitivo della truffa.
La previsione, nell’art. 316 ter, di una clausola di sussidiarietà espressa a favore dell’art. 640 bis riservava a tale disposizione una portata residuale, anche in considerazione del fatto che, nella prassi giudiziaria, le nozioni di artifici e di raggiri di cui all’art. 640 c.p. erano e sono tutt’oggi interpretate in maniera decisamente ampia. Così, una parte della giurisprudenza, allo scopo di conferire un qualche margine di operatività al nuovo delitto, aveva ritenuto che l’art. 316 ter, in quanto lex specialis rispetto alla truffa, dovesse applicarsi ogniqualvolta gli artifici e i raggiri venissero perpetrati nelle peculiari modalità descritte dalla norma (ossia presentando documenti o dichiarazioni false). Una conclusione del genere era, tuttavia, foriera di un’irragionevole disparità a livello sanzionatorio, in quanto condotte in precedenza rientranti nell’alveo del più grave delitto di cui all’art. 640 bis sarebbero state punite meno severamente, senza che tale mutamento fosse sorretto da alcuna giustificazione razionale.
Le incertezze vennero fugate dalla Consulta, la quale nel dichiarare la manifesta inammissibilità di una questione di legittimità costituzionale sollevata sul punto dal Tribunale di Milano, precisò che la clausola di riserva contenuta nell’art. 316 ter rivela non già la sussistenza di un rapporto di specialità, bensì di sussidiarietà con l’art. 640 bis. Ragione per cui tale disposizione non può che assicurare una tutela aggiuntiva e complementare rispetto a quella già offerta dall’art. 640 bis, a fronte di condotte fraudolente di minore intensità, tipologicamente distinte dagli artifici e dai raggiri e che non traggano in errore il soggetto leso.
In particolare, le sentenze Carchivi e Pizzuto hanno avallato l’interpretazione tradizionale e più ampia del concetto di “artifici e raggiri”, limitando il raggio operativo dell’art. 316 ter a situazioni apparentemente marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore dell’atto di disposizione patrimoniale.
Il discrimen tra le due ipotesi delittuose non risiede, pertanto, nel tipo di attività illecita posta in essere dall’agente, in entrambi i casi connotata da una (più o meno marcata) componente ingannatoria ma nel risultato che ne scaturisce. La truffa (ex art. 640 bis c.p. è circostanza aggravante) è, infatti, un reato di evento e la sua integrazione non può prescindere dal riscontro del nesso causale tra la condotta decettiva dell’imputato, l’induzione in errore della vittima e il conseguente ottenimento dell’ingiusto profitto con altrui danno. Anche la semplice presentazione di documentazione falsa da parte del richiedente che costituisce la fisiologica modalità di realizzazione della fattispecie sussidiaria potrebbe assumere natura fraudolenta ed integrare l’elemento oggettivo della truffa nel caso in cui l’ente erogatore risultasse effettivamente fuorviato.
Di converso, qualora l’erogazione dipenda, in prima battuta, dalla presentazione della mera richiesta del privato o da una sua autocertificazione, senza sia necessaria alcuna ulteriore verifica da parte della P.A., dovrebbe affermarsi la sussistenza dell’art. 316 ter c.p..
Le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite non sono andate esenti da critiche, in quanto confermano la tendenza, ampiamente diffusa nella prassi, a svalutare i concetti di artifici o raggiri. In questo modo, l’art. 640 c.p. va incontro a una mutazione genetica, che si traduce nello stemperamento del disvalore d’azione a favore di un disvalore d’evento polarizzato sull’idoneità decettiva, con tutte le difficoltà che ne conseguono a livello probatorio.
Ora, malgrado l’indubbia vis attractiva esercitata dall’art. 640 bis, la concreta declinazione dello schema argomentativo preconizzato dalle Sezioni Unite ha consentito di ritagliare uno spazio di operatività all’art. 316 ter. Quest’ultimo delitto si configura ogniqualvolta all’esito di una disamina di tutte le circostanze che caratterizzano la vicenda in concreto e, in particolare, delle specifiche modalità di rilascio del finanziamento, non emerga quel quid pluris necessario ai fini dell’integrazione della truffa aggravata ex art. 640 bis, consistente nell’induzione in errore dell’ente erogante. Una volta escluso il reato di truffa aggravata, le criticità concernono l’inquadramento dei fatti in imputazione nella sfera applicativa dell’art. 316 ter c.p. Infatti, anche la mancata comunicazione delle condizioni ostative di accesso al beneficio ha portato ad una riduzione dei contributi dovuti all’INPS.
Tale orientamento ha avuto largo seguito nella giurisprudenza di legittimità, che è prevalentemente incline a qualificare come erogazioni rilevanti ai sensi dell’art. 316 ter c.p. anche quelle percezioni indebite consistenti in un risparmio di spesa rispetto al quantum dovuto all’ente pubblico, poiché anche in tal caso il richiedente ottiene un vantaggio che viene posto a carico della comunità.
In proposito, è peraltro ampia la casistica relativa alla falsa esposizione, da parte del datore di lavoro, di corresponsioni ai propri salariati di indennità in ragione del loro status soggettivo (ad esempio, condizione di malattia, di maternità, assegni familiari) o di una situazione economica di crisi (ad esempio, cassa integrazione), così da ottenere il conguaglio degli importi fittiziamente indicati con quelli da lui dovuti a titolo di contributi previdenziali e assistenziali. Ipotesi del genere vengono oggi inquadrate entro i margini operativi dell’art. 316 ter c.p. Ciò nondimeno, l’ordinanza dubita che il mero risparmio di spesa possa ricondursi al perimetro di significato dell’art. 316 ter c.p., in cui si fa menzione di “contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici”.
La Corte ritiene che l’interpretazione maggioritaria si ponga in contrasto con il principio di determinatezza e di tassatività, violando il divieto di analogia in malam partem vigente in materia penale. L’inserimento della formula di chiusura “ad altre erogazioni dello stesso tipo” non consentirebbe di dilatare il campo applicativo della fattispecie fino a ricomprendervi casi in cui non vi sia alcun esborso da parte dello Stato, ma solo il versamento di una somma inferiore a quella dovuta. Siamo, infatti, al cospetto di una “clausola ad analogia espressa”: tali previsioni risultano costituzionalmente legittime nella misura in cui la norma o il sistema di norme ove sono inserite consentano di definire la loro latitudine applicativa in maniera sufficientemente precisa ed omogenea.
L’elenco contenuto nell’art. 316 ter che menziona contributi, sovvenzioni, finanziamenti e mutui agevolati e il significato proprio del termine “erogazione” che evoca una fornitura, un’elargizione, una distribuzione osterebbero all’inclusione nel raggio applicativo della fattispecie delle esenzioni o dei risparmi di spesa ottenuti mediante la presentazione di dichiarazione mendaci o l’omissione di informazioni dovute. Il nucleo di tipicità dell’art. 316 ter è infatti costituito dal concetto di erogazione e dalla corrispettiva percezione di denaro, attività che sembrano necessariamente implicare “un’effettiva riscossione“, da parte del soggetto agente, delle somme erogate dall’ente, a seguito delle condotte decettive delineate dalla norma.
Ad avviso della Corte, ulteriori conferme dell’imprescindibilità, ai fini dell’integrazione del reato de quo, di un esborso di risorse pubbliche sarebbero rinvenibili nelle modifiche apportate all’art. 316 ter c.p. dall’art. 28 del d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, che ha aggiunto, nel primo comma, il riferimento alle sovvenzioni pubbliche e ha modificato la rubrica legis da “indebita percezione a danno dello Stato” a “indebita percezione di erogazioni pubbliche“.
Se ne ricaverebbe che, in assenza di un contegno attivo dell’ente, a fronte di un mancato o ridotto versamento di somme dovute, non è ipotizzabile la sussistenza dell’art. 316 ter c.p. Alla luce di quanto premesso la Sesta sezione, ritenendo di doversi discostare dai dicta della sentenza Pizzuto, ha sollecitato un nuovo intervento delle Sezioni unite ai sensi dell’art. 618, comma 1 bis c.p.p. affinché chiariscano se rientri o meno nell’ambito dell’art. 316 ter il risparmio di spesa conseguito mediante indebito conguaglio.
Secondo la Suprema Corte, la rimeditazione del principio di diritto enunciato dalle SS.UU. nel 2010 sarebbe imposta dalla necessità di assicurare un più stringente rispetto del divieto di analogia in malam partem, che come ribadito in una recente pronuncia della Consulta (sent. n. 98/2021) però non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, rappresentando un limite invalicabile all’attività ermeneutica del giudicante.
È prima di tutto la lettera della legge pur nella sua massima estensibilità interpretativa che deve fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte; sicché non è tollerabile che la sanzione possa colpirlo per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore.
Orbene, nel caso in esame, la scelta di includere l’esenzione dal pagamento di una somma dovuta nelle indebite erogazioni ex art. 316 ter non troverebbe un valido appiglio normativo.
Un insuperabile ostacolo all’opzione equiparatrice sarebbe, per l’appunto, rappresentato dal significato letterale e linguistico del termine erogazione, che consiste in un’attività positiva da parte dell’ente, implicante un rilascio di risorse pubbliche e la loro relativa percezione da parte dell’istante. Di converso, l’esenzione non comporta alcun diretto esborso di denaro, ma si risolve in un mancato versamento del quantum spettante alla P.A. e nel conseguente ottenimento di un indebito risparmio di spesa da parte del privato. La Corte richiama, in primo luogo, il delitto di cui all’art. 10 quater D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che sanziona chiunque, nell’adempimento dei propri oneri contributivi, non versi le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.
Stando all’impostazione richiamata dall’ordinanza de qua, tale figura delittuosa si porrebbe in rapporto di specialità rispetto all’art. 316 ter c.p. e sarebbe applicabile anche in caso di omesso versamento di contributi di tipo assistenziale o previdenziale. La ratio della disposizione in esame sarebbe, infatti, quella di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano in realtà nell’omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio mediante il ricorso al meccanismo della compensazione tributaria, indipendentemente dalla tipologia di imposta considerata.
Una simile lettura, maggioritaria in giurisprudenza, non convince del tutto, poiché si risolve in un’eccessiva dilatazione del perimetro di tipicità dell’art 10 quater che, in forza della sua collocazione sistematica all’interno di un testo normativo concernente i soli delitti in materia di imposte di redditi e di IVA, dovrebbe trovare applicazione solo con riguardo a tali tipologie di tributi, al cospetto, cioè, di indebite compensazioni di natura propriamente fiscale.
Qualora invece ritenessero di dare continuità all’impostazione seguita nel 2011 dalla sentenza Pizzuto, le Sezioni Unite sarebbero chiamate a risolvere il secondo quesito presentato dall’ordinanza in esame, riguardante l’identificazione del momento consumativo del reato di cui all’art. 316 ter c.p. Se è pacifico che il reato si consuma nel tempo e nel luogo in cui il richiedente consegue il beneficio indebito e non al momento dell’assunzione dell’obbligo di erogare da parte del soggetto passivo i problemi sorgono nei casi, tutt’altro che infrequenti, di erogazioni periodiche. In proposito, l’ordinanza in esame denuncia l’esistenza di un latente contrasto in seno alla giurisprudenza di merito e di legittimità, da cui derivano incertezze nell’individuazione del termine di decorso della prescrizione, nonché nella valutazione del superamento o meno della soglia di punibilità di 3999,96 euro, al di sotto della quale potrebbe unicamente ipotizzarsi l’integrazione dell’illecito amministrativo previsto da al capoverso dell’art. 316 ter c.p.
Stando a un primo indirizzo, laddove l’indebita percezione venisse conseguita in più ratei, saremmo al cospetto di un unico reato a consumazione prolungata o ad evento frazionatone conseguirebbe che il superamento del valore soglia andrebbe valutato alla luce della sommatoria di tutti gli importi annui indebitamente compensati. In altri termini, le plurime esposizioni di dati falsi da parte dell’agente costituirebbero momenti esecutivi di un reato unitario, caratterizzato da un approfondimento dell’offesa all’interesse protetto dall’art. 316 ter.
Un secondo opposto orientamento ritiene che l’illecito vada scisso in una pluralità di percezioni indebite, in numero pari ai versamenti indebitamente ridotti in seguito alla compilazione dei singoli moduli DM10. Il superamento del valore soglia – che integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità andrebbe verificata in relazione al risultato economico derivante da ciascuna delle condotte decettive produttive di una “erogazione non dovuta” e, dunque, mese per mese.
È infatti pacifico che, in caso di finanziamento erogato in più ratei, il reato di cui all’art. 316 ter al pari della truffa aggravata ex art. 640 bis si consumi al momento dell’ultima ricezione, con tutto ciò che ne consegue con riguardo al decorso della prescrizione ed al computo della somma indebitamente percepita. Affinché possa dirsi integrato un illecito a consumazione prolungata, occorre però che il conseguimento dei singoli benefici scaturisca da un unico ed originario comportamento fraudolento.
I precedenti evocati dall’ordinanza in esame riguardano proprio ipotesi nelle quali le plurime erogazioni conseguono da un solo fatto genetico: in quei casi era stata la mancata comunicazione del decesso del titolare di una pensione, a consentire ai parenti del defunto di continuare a riscuotere i singoli ratei. Senonchè le Sezioni Unite il 26 marzo 2025 intervengono per definire la questione sollevata. Orbene, dalla formula legislativa risulta che la condotta incriminata consiste in entrambe le sue forme di realizzazione, attiva od omissiva, nell’indebito conseguimento di un beneficio economico oggetto di un procedimento amministrativo di concessione o erogazione, ponendosi nella fase iniziale del complessivo assetto del rapporto instaurato fra il privato e la pubblica amministrazione laddove invece il 316 bis c.p. attiene alla fase esecutiva. Con la sola connotazione della vantaggiosità vi rientra qualsiasi ausilio economico.
Dunque, nell’enunciato normativo la condotta posta in relazione ad un oggetto materiale non delimitativo in via esclusiva ma definito con il ricorso ad una clausola aperta che consente di ritenere inclusa nel precetto anche la percezione dei benefici economici legati alla riduzione di un onore previdenziale o assistenziale per colui che indebitamente li abbia conseguiti secondo le diverse possibili modalità di realizzazione della condotta previste.
Nell’indebito conseguimento di un’agevolazione economica, in qualsiasi modo attribuita dallo stato, da un ente pubblico o dall’Unione Europea va ricercato il nucleo identificativo della tipicità della fattispecie di reato in esame. Non oltrepassa il confine del testo l’affermazione secondo cui contributi, sovvenzioni e finanziamenti sono anche quelli indirettamente conseguiti quando lo Stato o l’ente pubblico non riesca ad ottenere dal privato il complessivo importo di quanto da lui effettivamente dovuto a seguito del beneficio riconosciutogli dalla legge.
Al fine di prevenire ad una nozione onnicomprensiva dell’oggetto della condotta di indebito conseguimento, il Legislatore ha costruito la fattispecie in esame attraverso forme non di una elencazione sostitutiva bensì di una esemplifcazione esplicativa di un genus di ipotesi già sufficientemente definito attraverso l’aiuto chiarificatore della casistica omogenea. Tale procedimento misto, viene ritenuto dalla dottrina, frutto di una tecnica di redazione di norme penali rispettosa dei principi costituzionali perché mira ad evitare al contempo sia un’elencazione troppo dettagliata che una locuzione eccessivamente generica.
Con l’espressione altre erogazioni si è inteso ricorrere ad una generale formula di chiusura n modo da ricomprendere nell’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice ogni possibile forma di attribuzione comunque agevolata per il beneficio di risorse pubbliche o eurounitarie, includendovi anche quelle indirettamente conseguite che prescindono da un esborso iniziale di denaro. La condotta penalmente rilevante si realizza non attraverso l’indebita locupletatio di un rimborso di spesa, ma con l’indebito conseguimento del diritto ad un beneficio contributivo la cui fruizione non è consentita dalla legge.
Per di più, nella prospettiva del diritto eurounitario il requisito del “trasferimento di risorse statali” è ritenuto sussistente ogni qualvolta l’aiuto abbia un impatto sul bilancio dello stato, vale a dire in ogni ipotesi in cui lo stato direttamente conceda proprie risorse oppure indirettamente rinunci a riscuotere ciò che gli è dovuto. Non è necessario che avvenga un trasferimento positivo di fondi, ma è sufficiente anche una rinuncia alle entrate statali. Sotto tale profilo, la Corte di Giustizia ha precisato che la nozione di “aiuto” comprende non solo le prestazioni positive, come le sovvenzioni ma anche le misure che sotto varie forme alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio d’impresa e che pertanto senza essere sovvenzioni in senso stretto presentano natura analoga e producono il medesimo effetto (cfr. Corte Giustizia, 14 settembre 2023, Commission c. Dansk Erhverv).
Da una valutazione complessiva del significato delle formule lessicali ivi impiegate emerge che il nucleo della tipicità della fattispecie descritta nell’articolo 316 ter c.p. poggia sull’indebita acquisizione di benefici economici di qualsiasi tipo, siano essi provenienti dallo Stato, o da altri enti pubblici ovvero dall’Unione Europea, diretti o indiretti, per effetto di un comportamento attivo od omissivo casualmente correlato all’attivazione di una procedura amministrativa di concessione-erogazione di provvidenze di fonte pubblica. La generale esigenza di tassatività si dispiega in relazione a tutti i provvedimenti attributivi di vantaggi economici risultando artificiosa oltre che irragionevole nella prospettiva della spesa pubblica, una distinzione tra quella realizzata attraverso dazioni in favore del privato, siano esse soggette o meno a restituzione e quella praticata attraverso la previsione di ausili finanziari e attribuzioni di agevolazioni economiche di qualunque genere.
Nella disposizione prevista dall’articolo 316 ter alla condotta di indebita percezione posta in essere attraverso l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero tacendo informazioni dovute sulla sussistenza di una condizione ostativa, è casualmente riconducibile l’attribuzione di una forma di agevolazione economica con il conseguente perfezionamento del reato senza che assumano rilievo a tal fine le forme e le modalità di ottenimento del vantaggio economico legato alla previsione legale della decontribuzione o di altro tipo di agevolazione.
Le Sezioni Unite ritengono che debba darsi continuità attesa la sua persistente validità sia in ragione della interpretazione logico sistematica dell’enunciato legale sia della sua piena conformità al significato letterale della norma comunitaria che il Legislatore ha recepito con legge di ratifica n. 300. Dunque, al primo quesito la risposta è stata che integra il reato ex art. 316 ter c.p. l’indebito conseguimento del diritto alle agevolazioni previdenziali e alle riduzioni dei contributi dovuti per i lavoratori in mobilità per effetto della omessa comunicazione, senza che assumano rilievo le modalità del vantaggio economico ottenuto.
Sul secondo quesito, aderendo alla teoria del reato unico a consumazione prolungata ove plurime erogazioni pubbliche siano conseguenza di un originario ed unico comportamento mendace o omissivo, ha accolto tale tesi anche per il reato ex art. 316 ter c.p. stabilendo che il reato è unitario e a consumazione prolungata quando i relativi benefici economici siano concessi o erogati in ratei periodici e in tempi diversi, con la conseguenza che la consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo.
Emanuela Porcelli